5. Pace con Gerone.
Passando ai Romani appena s'accorse che essi pensavano sul serio alla Sicilia e quand'era ancora in tempo di ottenere la pace senza fare alcun sagrifizio o cessione, Gerone seguì una sana politica. Gli stati mediani della Sicilia, Siracusa e Messana, che non potevano seguire una propria politica, ed ai quali altro non rimaneva se non la scelta tra l'egemonia romana e la cartaginese, dovevano naturalmente inclinare a scegliere la prima, posto che i Romani, come è credibile, non avevano l'intenzione di conquistare l'isola per se stessi, ma volevano solo impedire che cadesse nelle mani di Cartagine, ed in ogni caso le due città greche potevano sperare miglior trattamento e più sicura protezione per la libertà dei commerci da Roma che non dal sistema tirannico dei monopoli cartaginesi.
Gerone fu, d'allora in poi, il più importante, il più costante ed il più stimato degli alleati che i Romani avessero nell'isola. I Romani avevano così raggiunto il primo scopo che si erano proposto. Con l'alleanza di Messana e Siracusa, e padroni di tutta la costa orientale, si erano assicurato l'approdo nell'isola e l'approvvigionamento dell'esercito, che era stato fino allora assai precario, e l'ardua e fortunosa guerra perdeva così gran parte del suo carattere rischioso. Quindi, per continuarla, non si fecero maggiori sacrifici che per le guerre ordinarie nel Sannio e nell'Etruria: le due legioni che s'inviarono nell'isola l'anno seguente (492=262), bastarono per respingere dappertutto, mercè il concorso de' Greco-siculi, i Cartaginesi nelle fortezze.
Il supremo duce dei Cartaginesi, Annibale, figlio di Giscone, si gettò col nerbo delle sue truppe in Agrigento allo scopo di difendere fino all'estremo questa importantissima piazzaforte. I Romani incapaci di dare l'assalto alla fortezza, la bloccarono con linee trincerate e con un doppio campo e gli assediati, in numero di 50.000, mancarono ben presto del necessario.
L'ammiraglio cartaginese Annone approdò presso Eraclea onde liberare la città, e tagliò gli approvvigionamenti all'esercito assediante. Il disagio essendo grande da ambedue le parti, fu deciso di dare una battaglia per uscire dal pericolo e dall'incertezza. In questa la cavalleria numidica si mostrò tanto superiore a quella dei Romani, quanto alla fanteria fenicia erano superiori i legionari romani, che, per quanto duramente provati, decisero della vittoria.
Ma il frutto della vittoria andò perduto, giacchè, appena cessato il conflitto, e mentre i vincitori erano ancora impediti dalla confusione e dalla stanchezza, l'esercito assediato potè aprirsi una via, uscire di città, e rifugiarsi sulla flotta. Nondimeno questo successo fu di gran giovamento alle armi romane. Agrigento, dopo la battaglia, venne in possesso dei Romani e con essa tutta l'isola, ad eccezione delle fortezze marittime, nelle quali il duce fenicio Amilcare, successore d'Annone nel supremo comando, si rafforzò con trincee e baluardi e non se ne lasciò smuovere nè per forza, nè per fame.
La guerra ebbe fine nell'isola; fu continuata solo con sortite dalle fortezze siciliane, con scorrerie di mare e sbarchi sul litorale italiano in modo estremamente svantaggioso e gravoso per i Romani.