18. Preponderanza dei Romani.
La presa di Capua produsse una immensa impressione e tanto maggiore in quanto che essa non avvenne per sorpresa, ma dopo un lungo assedio di due anni, continuato malgrado tutti gli sforzi d'Annibale.
Essa fu il segnale della riconquistata preponderanza dei Romani in Italia, come sei anni prima la sua diserzione era stato il segnale che essi l'avevano perduta.
Invano Annibale aveva cercato di espugnar Reggio e la rocca di Taranto per attenuare l'effetto che questa notizia doveva necessariamente produrre sugli alleati. La sua marcia forzata per sorprendere Reggio non gli era stata di nessun vantaggio; e nella rocca di Taranto è vero che scarseggiavano sensibilmente i viveri, poichè la squadra tarentino-cartaginese aveva bloccato il porto; ma siccome i Romani colla loro flotta, di gran lunga superiore, potevano alla loro volta sopprimere i convogli diretti alla squadra nemica, e il paese occupato da Annibale produceva appena quanto bastasse al suo esercito, ne avveniva che gli assedianti dalla parte del mare non soffrivano meno degli assediati della rocca, per cui essi abbandonarono finalmente il porto.
Ormai ogni impresa andava a male; pareva che la fortuna avesse abbandonato il Cartaginese. Queste conseguenze della caduta di Capua, la profonda scossa che aveva sofferto l'autorità e la fiducia di cui Annibale aveva fino allora goduto presso gli alleati italici, ed i tentativi che facevano tutti i comuni, che non si erano troppo compromessi, per essere riammessi a tollerabili condizioni nella simmachia romana, erano per Annibale fatti molto più sensibili di ciò che non fosse stato la perdita stessa di quella città.
Egli aveva da scegliere fra i due partiti: lasciare i presidii nelle città vacillanti, e con ciò avrebbe indebolito ancor più il già scarso suo esercito ed esposto le fidate sue truppe ad esser distrutte alla spicciolata o per tradimento (come lo furono i 500 cavalieri numidi l'anno 544=210 in occasione della diserzione della città di Salapia), o spianare queste città e appiccarvi il fuoco per non lasciarle al nemico, il quale espediente non avrebbe valso certamente ad elevarlo nell'opinione dei suoi clienti italici.
Dopo la presa di Capua i Romani si sentirono di nuovo sicuri dell'esito della guerra d'Italia; essi inviarono ragguardevoli rinforzi in Spagna, dove per la seguita morte d'entrambi gli Scipioni, l'esercito romano si trovava in pericolo e acconsentirono, per la prima volta dacchè ferveva la guerra, ad una riduzione del numero delle truppe, che fino allora, malgrado le sempre crescenti difficoltà della leva, era andato ogni anno aumentando e che da ultimo era salito a ventitrè legioni.
Per conseguenza l'anno seguente (544=210) la guerra italica fu condotta dai Romani più debolmente, benchè dopo terminata la campagna di Sicilia il supremo comando del grande esercito fosse di nuovo assunto da Marco Marcello.
Costui faceva nell'interno una guerra di fortezze e veniva coi Cartaginesi soltanto a conflitti non decisivi. Non fu decisa nemmeno la lotta per l'acropoli tarentina. Ma Annibale riuscì a riportare una vittoria sul console Gneo Fulvio Centomalo presso Erdonia nell'Apulia.