14. La ripresa della guerra.
La guerra ricominciò e il console Spurio Albino ne assunse il supremo comando (644 = 110).
Ma l'esercito d'Africa era fino nei più infimi stadi in piena dissoluzione, come sotto un tale governo politico e militare si doveva aspettare. Non solo la disciplina era scomparsa e il saccheggio delle località numide e persino del territorio provinciale romano era stata l'occupazione principale delle soldatesche romane durante la sosta delle armi, ma anche non pochi ufficiali e soldati, non esclusi i loro generali, erano entrati in segreti accordi col nemico. Qual meraviglia dunque se un tale esercito non valeva nulla in campo? E se Giugurta comprò anche questa volta l'inazione del generale supremo romano, come fu dimostrato più tardi nel giudizio contro di questo, egli fece veramente una cosa superflua.
Spurio Albino non era stato che inoperoso; invece a suo fratello Aulo Postumio, uomo altrettanto inetto quanto temerario, il quale assunse provvisoriamente il comando dopo di lui, venne in mente di impadronirsi, nel cuore dell'inverno, con un colpo di mano, dei tesori del re che si trovavano nella città dl Suthul (di poi Calama, ora Guelma), di difficile accesso e di più difficile espugnazione.
L'esercito si mise in marcia a quella volta e assediò la città, ma inutilmente, e quando il re, che era rimasto per qualche tempo fuori della città, s'internò nel deserto, il generale romano preferì d'inseguirlo.
Questo era il desiderio di Giugurta; con un attacco notturno, agevolato dagli accidenti del terreno e da segreti accordi di Giugurta coll'esercito romano, i Numidi espugnarono il campo romano e volsero in piena e vergognosa fuga i Romani, quasi tutti inermi, inseguendoli con le armi alle reni.
Seguì una capitolazione, le cui condizioni, dettate da Giugurta, furono accettate dai Romani: partenza dell'esercito romano sotto il giogo, sgombro immediato di tutto il territorio numida, rinnovazione del trattato d'alleanza annullato dal senato (principio del 645 = 109).