5. Commedia nazionale.
Abbiamo già accennato come si deve probabilmente ritenere che alla commedia greco-romana (palliata) si aggiungesse fin dal sesto secolo la commedia nazionale (togata) e probabilmente sulle scene latine delle province e non su quelle della capitale.
Naturalmente la scuola di Terenzio s'impadronì anche di questo genere; essa mirava ad introdurre in Italia la commedia greca per mezzo d'una fedele versione, o di una semplice imitazione romana.
Il promotore principale di questo indirizzo fu Lucio Afranio (verso il 660 = 94).
I frammenti delle sue opere venuti sino a noi non lasciano una decisa impressione, ma non sono nemmeno in contraddizione con ciò che di lui scrissero i critici romani.
Le sue numerose commedie nazionali erano, per ciò che concerne la loro tessitura, tutte modellate sulla commedia greca d'intrigo, colla sola differenza che, come è ben naturale quando si tratta d'imitazione, esse riuscivano più semplici e più brevi.
E così anche nelle particolarità egli prese ciò che gli piaceva, parte da Menandro, parte dall'antica letteratura nazionale.
In Afranio non si riscontra però molto delle maniere latine locali, che spiccano tanto decisamente in Titinio, creatore di questo genere artistico[6]; i suoi soggetti si tengono molto sulle generali; e sono quasi tutti imitazioni di commedie greche ma con altri costumi.
Vi si trova, come in Terenzio, un sottile ecclettisino e una facilità di composizione con frequenti allusioni letterarie; inoltre ha comune con Terenzio la tendenza morale, che facilitò alle sue produzioni la rappresentazione sulle scene, l'andamento secondo le norme della polizia e della purezza della lingua.
Il giudizio dei posteri lo caratterizza a sufficienza quale affine nei sentimenti con Menandro e con Terenzio dicendo di lui, che portava la toga come l'avrebbe portata Menandro se fosse stato italico, e la sua stessa asserzione, che preferiva Terenzio a tutti gli altri poeti.