7. Forma della nuova monarchia.
La posizione del nuovo capo supremo dello stato si presenta in una forma strana. Cesare aveva accettato la dittatura, dapprima provvisoriamente appena ritornato dalla Spagna nel 705 = 49, ma la depose dopo pochi giorni e condusse la campagna del 706 = 48 semplicemente come console e fu per l'investitura di questa carica che scoppiò la guerra civile. Nell'autunno dello stesso anno dopo la battaglia di Farsaglia riaccettò la dittatura facendosela conferire dapprima a tempo indeterminato; poi, dopo la battaglia di Tapso, il primo gennaio del 709 = 45, quale carica annuale, e infine nel gennaio o febbraio del 710 per tutta la durata della vita, rendendo così decisamente vane le dimissioni di un tempo e diede formale espressione alla perpetuità dell'impiego col nuovo titolo dictator perpetuus.
Questa dittatura, tanto quella prima era effimera, quanto la seconda duratura, non è quella dell'antica costituzione, ma è solo il supremo ufficio eccezionale, secondo l'ordinamento di Silla coincidente con quella solo nel nome; un ufficio, la cui competenza non venne stabilita dagli ordinamenti costituzionali nel singolo ufficio supremo, ma da uno speciale plebiscito, e cioè in modo che l'insignito della carica riceveva la facoltà d'ufficio legalmente illimitata, sopprimente la divisione repubblicana dei poteri, con l'incarico di proporre leggi e di ordinare il regime del comune.
Applicazioni di tale facoltà generale ad un caso particolare esistono soltanto quando all'insignito della carica venivano trasferiti anche il diritto di decidere della guerra e della pace senza interpellare il senato ed il popolo, il diritto di disporre dell'esercito e del tesoro, la nomina dei luogotenenti provinciali.
Persino le facoltà che erano al di fuori della competenza dei poteri dello stato, Cesare poteva attribuirsele in via di diritto; e sembra quasi da parte sua una concessione che egli abbia rinunciato a nominare i magistrati invece dei comizi e si sia limitato a conservarsi il diritto di proporre obbligatoriamente una parte dei pretori e dei magistrati inferiori; e che inoltre si sia lasciato autorizzare, per mezzo di uno speciale plebiscito, ad una creazione di patrizi che non avrebbe d'altronde dovuto aver luogo secondo l'origine.
Per altri uffici nel vero senso della parola, non c'era posto presso questa dittatura. Cesare non ha assunto la censura come tale, ma ha esercitato in largo modo i diritti censorî e specialmente quello importante della nomina dei senatori. Spesso egli rivestì il consolato insieme alla dittatura, e una volta anche senza colleghi, ma non li ha mai legati durevolmente alla sua persona e non ha dato alcun seguito alle esortazioni di accettarli per cinque o anche dieci anni di seguito.
La sovrintendenza suprema del culto Cesare non ebbe bisogno di farsela conferire, poichè egli era già pontefice massimo; s'intende che anche la congregazione del collegio degli auguri toccò a lui con altri antichi e nuovi diritti onorari, come il titolo di padre della patria, la denominazione del mese della sua nascita col nome che porta ancora oggi, luglio, ed altre manifestazioni che coll'incipiente tono cortigiano si spinsero in ultimo fino alla più bassa idolatria.
Due sole disposizioni meritano di essere rilevate: che Cesare fu uguagliato ai tribuni del popolo specialmente nella loro particolare inviolabilità personale, e che la denominazione di imperatore venne stabilmente attaccata alla sua persona e portata da lui come titolo, insieme ad altre indicazioni dell'ufficio.
Le persone intelligenti non avranno bisogno di prove per credere che Cesare mirasse ad incastrare nella repubblica il supremo potere, e cioè non solo per alcuni anni o anche, come carica personale, per un tempo indeterminato, come ad esempio fu la reggenza di Silla, ma come istituzione essenziale e stabile; e che egli scegliesse per la nuova istituzione una denominazione adatta e semplice, poichè se in politica è un errore creare nomi senza significato, non è minore errore quello di istituire il supremo potere senza dargli un nome.
Non è certo facile stabilire quale definitivo formulario Cesare abbia avuto in mente, sia perchè in questo tempo di transazione le istituzioni effimere e le permanenti non si distinguono con chiarezza le une dalle altre, sia perchè la devozione dei clienti, che preveniva il cenno del signore, lo ricolmava di una quantità di decreti di fiducia e di leggi onorifiche, con una abbondanza senza dubbio fastidiosa a lui stesso.
La nuova monarchia non poteva annodarsi nemmeno col consolato, a cagione della collegialità che non si poteva separare da questa carica; anche Cesare aveva apertamente lavorato a ridurre ad un vano titolo questa carica, fino allora suprema; e più tardi, quando egli l'assumeva, non la disimpegnava tutto l'anno, ma la rimetteva prima del suo termine a persone di secondo rango.
Fra le molte cariche delle quali fu investito la dittatura emerge praticamente più spesso e con maggiore chiarezza soltanto perchè egli l'esercitava secondo il significato che aveva sempre avuto nel regime costituzionale, cioè come magistratura straordinaria per superare crisi straordinarie.
Essa non poteva servire di appoggio alla nuova monarchia, poichè erano inerenti a questo ufficio l'eccezionalità e l'impopolarità; e appena si può supporre che il rappresentante della democrazia potesse scegliere per la durevole organizzazione quella forma che il più geniale precursore del partito opposto aveva creato per i suoi scopi.