38. L'ammutinamento nella Campania.
Di maggiore importanza erano gli avvenimenti occorsi alle truppe, che Cesare aveva ordinato si concentrassero nell'Italia meridionale per essere imbarcate e ricondotte da lui in Africa. Esse si componevano per la maggior parte delle legioni che nelle Gallie, in Spagna e nella Tessalia avevano gettate le fondamenta del trono di Cesare.
Le vittorie non ne avevano migliorato lo spirito; il lungo riposo nella bassa Italia ne lo avevano interamente guastato. I servigi quasi sovrumani che Cesare loro imponeva, e le cui conseguenze troppo chiaramente si manifestavano nelle loro file assai diradate, gettarono persino in queste ferree nature un lievito di rancore che abbisognava soltanto di tempo per mettere gli animi in commozione. L'unico uomo che loro s'imponeva era assente da un anno e quasi sparito; gli ufficiali superiori temevano molto più i soldati di quanto questi temessero gli ufficiali, e condonavano a questi conquistatori del mondo ogni atto brutale che essi commettessero verso i loro ospiti e qualsiasi mancanza contro la disciplina.
Quando venne l'ordine di imbarcarsi per la Sicilia e si videro costretti a rinunciare ai comodi della vita che conducevano nella Campania, per cambiarli con una terza campagna, che quanto alle fatiche e ai triboli non sarebbe certamente stata meno disastrosa delle due sostenute in Spagna e in Tessalia, le corde da lungo tempo rilassate, tese ad un tratto, si ruppero.
Le legioni si rifiutarono di obbedire, se prima non era loro pagato il corrispondente prezzo dei doni loro promessi e respinsero con parole di scherno, e persino a sassate, gli ufficiali mandati da Cesare per acquietarle. Un tentativo fatto per soffocare al suo nascere l'ammutinamento con l'impegno di aumentare le somme promesse, non solo non ebbe alcun successo, ma i soldati si levarono in massa per estorcere dal supremo duce nella capitale l'adempimento delle promesse.
Alcuni ufficiali che tentarono di trattenere le sediziose schiere nella loro marcia, furono massacrati. Il pericolo era gravissimo. Per impedire, almeno per il momento, il temuto saccheggio, Cesare fece con molta assennatezza occupare le porte della città da quei pochi soldati che vi si trovavano, e comparve immediatamente fra la chiassosa turba, chiedendo che cosa volesse. Si gridò che si voleva il «congedo». Fu accordato all'istante. In quanto ai doni, Cesare soggiunse che aveva promesso di corrisponderli ai suoi soldati al momento del trionfo, e quanto ai terreni, che egli non aveva loro promesso, ma che era deciso di assegnar loro, egli li invitava a presentarsi a lui nel giorno in cui avrebbe avuto gli onori del trionfo insieme agli altri suoi soldati, poichè essi, per essere stati congedati prima, non potevano naturalmente prender parte al trionfo stesso.
Queste masse non erano preparate ad una tale dichiarazione. Esse avevano chiesto il congedo soltanto per ottenere delle buone condizioni nel caso di un rifiuto, giacchè erano persuase che Cesare non avrebbe potuto intraprendere la guerra africana senza il loro concorso, semi-fuorviati dalla coscienza della propria indispensabilità.
Troppo sciocchi per fare un passo indietro e per riassumere e ricondurre sulla vera strada le mancate trattative, svergognati come uomini per la fede serbata dall'imperatore anche ai suoi soldati felloni, e per la generosità che accordava ad essi appunto in questa occasione, molto più di quello che egli aveva già promesso; profondamente avviliti come soldati per la dichiarazione di Cesare, che essi avrebbero dovuto assistere da cittadini al trionfo dei loro compagni d'armi e perchè egli non li chiamava più commilitoni, ma cittadini, quasi cancellando d'un tratto con queste dure parole, che per essere pronunciate dalla sua bocca suonavano così stranamente, tutta la passata gloriosa loro vita guerresca, e turbati pure dal fascino di quell'uomo cui era impossibile resistere, i veterani stettero alcuni momenti muti e titubanti. Poi si mandò da tutti un grido con la preghiera che Cesare facesse loro grazia e loro permettesse di dirsi ancora suoi soldati.
Dopo essersi fatto lungamente pregare, Cesare vi acconsentì; ma ai capi di questa congiura fu diminuita d'un terzo la parte dei doni loro dovuti dipendentemente dal trionfo.
La storia non ebbe mai a registrare un più grande capolavoro psicologico di questo e nessuno che sia così perfettamente riuscito.