3.Schiavi contadini.
I lavori manuali eran fatti comunemente dagli schiavi. Alla testa della classe degli schiavi contadini (familia rustica) si trovava il castaldo (villicus da villa), il quale riceveva e spendeva, comprava e vendeva, prendeva gli ordini dal padrone, nella cui assenza comandava e puniva.
Da lui dipendeva la fattoressa (villica), la quale accudiva alla casa, alla cucina ed alla dispensa, al pollaio ed alla colombaia; ed un gran numero di bifolchi (bubulci) e di servi comuni, un asinaro, un porcaro e, quando vi era un gregge, un pecoraio.
Il numero variava naturalmente secondo il metodo con cui si procedeva nell'economia. In un podere di 200 iugeri senza piantagioni arboree si calcolavano due bifolchi e sei servi, in un podere di 240 iugeri con piantagioni di olivi e con un gregge tre bifolchi, cinque servi e tre pastori.
Per la coltivazione della vite occorrevano, naturalmente, maggiori forze; per un fondo vitato di 100 iugeri occorrevano un bifolco ed undici servi e due pastori. Il castaldo era, come ben naturale, più libero degli altri servi. I libri di Magone sull'agricoltura consigliavano di dargli moglie, di allevarne i figli e di assegnargli una propria sostanza, e Catone consiglia di ammogliarlo colla fattoressa; egli solo poteva avere anche la prospettiva di ottenere dal padrone la libertà quando la sua condotta fosse stata senza macchia.
Del resto tutti formavano una famiglia sola.
I servi, come i buoi, non si allevavano nel podere, ma si comperavano sul mercato degli schiavi in età atta al lavoro, e così erano di nuovo mandati al mercato per essere venduti insieme con altri oggetti di scarto, quando per età o per malattie erano diventati inabili al lavoro[5].
La fattoria (villa rustica) era nel tempo stesso la stalla del bestiame, il granaio e l'abitazione dell'intendente e dei servi.
Per il padrone esisteva, generalmente, nel podere una casa di campagna isolata (villa urbana).
Gli schiavi e persino l'intendente ricevevano per conto del padrone, a epoche fisse e nella misura stabilita, quanto loro abbisognasse, e ciò doveva loro bastare per vivere: così venivano loro somministrati gl'indumenti e le calzature – che si comperavano al mercato – coll'obbligo della manutenzione a proprio carico.
Ogni mese veniva loro distribuita una data quantità di frumento che ognuno era tenuto a macinare per il proprio uso, sale, companatico, olive o pesce salato, vino e olio.
La quantità si conformava secondo la natura del lavoro, per cui l'intendente, il quale aveva un lavoro meno faticoso che non i servi, riceveva razioni più scarse.
La fattoressa attendeva al forno ed alla cucina, e tutti mangiavano in comune al medesimo desco. Non c'era l'uso d'incatenare gli schiavi, ma quelli che avessero meritato una punizione od avessero tentato di fuggire, si mandavano al lavoro coi ceppi e la notte si chiudevano nel carcere degli schiavi[6].
Per i lavori normali il numero degli schiavi addetti al podere era sufficiente; in caso di bisogno i vicini, come era ben naturale, si aiutavano reciprocamente prestandosi i loro schiavi contro la mercede giornaliera.
Comunemente non si assumevano lavoratori stranieri, fuorchè nei paesi molto insalubri, dove si trovava vantaggio nel limitare il numero degli schiavi e nel servirsi invece di mercenari per la messe, operazione per la quale, in generale, non bastavano le forze ordinarie.
Per la mietitura delle biade e pel taglio del fieno si assumevano falciatori a giornate, i quali, spesso, in luogo della mercede ricevevano il sesto e sino il nono covone, o, quando si prestavano alla trebbiatura, il quinto del raccolto; così, per esempio, si recavano ogni anno, in gran numero, lavoratori dell'Umbria nella valle di Rieti per le operazioni della mietitura.
Il raccolto delle uve e delle ulive si lasciava comunemente ad un imprenditore, il quale colla sua gente – mercenari, liberi o schiavi, propri od altrui – faceva la vendemmia e raccoglieva le olive sotto la sorveglianza di alcune persone dal padrone espressamente designate, ne curava la torchiatura e ne rimetteva il prodotto al proprietario[7].
Questi, non di rado, vendeva la produzione sulla pianta o sul ramo e lasciava al compratore la cura delle necessarie operazioni.