32. I capitalisti romani nelle province.
Ma ancora più duramente e sfacciatamente, privi come erano di ogni controllo, incrudelivano i capitalisti italici contro gli infelici provinciali. Nelle loro mani si concentravano le più fertili tenute agricole, tutto il commercio e gli appalti governativi. I beni che nelle province appartenevano ai grandi signori italici, erano abbandonati al pessimo maneggio degli amministratori; non vedevano mai i loro padroni, salvo che per qualche partita di caccia nei parchi, che già in quell'epoca, nella Gallia transalpina, comprendevano lo spazio di quasi una lega quadrata.
L'usura fioriva come mai prima d'allora. I piccoli possidenti in Illiria, in Asia, in Egitto lavoravano già ai tempi di Varrone per la maggior parte veramente come servi dei loro creditori romani e non romani, appunto come una volta i plebei per i loro affittuari patrizi. Vi furono casi in cui dai comuni si contrassero dei mutui al 4% al mese.
Non era raro il caso che un capitalista energico e di grandi influenze, per la migliore amministrazione dei suoi affari si facesse conferire dal senato il titolo di legato[27], o dal luogotenente quello di ufficiale, e, ove ciò fosse possibile, gli si concedeva anche una soldatesca. Si narra a questo proposito il caso in cui uno di questi onorevoli e bellicosi banchieri, vantando un credito verso la città di Salamina nell'isola di Cipro, tenne il consiglio comunale della medesima bloccato così a lungo nella casa comunale, che cinque consiglieri morirono di fame.
A questa doppia pressione, di cui una sola era già insopportabile e il cui intrecciamento si perfezionava sempre più, si aggiunsero poi le tribolazioni generali, di cui per una gran parte aveva colpa, almeno indirettamente, il governo romano.
Nelle molte guerre furono, ora dai barbari, ora dagli eserciti romani, asportati grossi capitali e più grossi ancora ne furono sciupati.
Per la nullità della polizia romana di terra e di mare gli assassini e i falsari brulicavano dappertutto. In Sardegna e nell'interno dell'Asia minore la fioritura delle bande era endemica; in Africa e nella Spagna ulteriore esse resero necessario di munire di ripari e di torri tutti gli edifici posti fuori delle mura della città. Fu già descritto, in un'altra occasione, il terribile malanno della pirateria.
Le panacee, cui il luogotenente romano soleva ricorrere quando, come in simili condizioni non poteva mancare, si verificava scarsità di denaro o carestia di pane, cioè la proibizione dell'esportazione dell'oro e dei cereali dalle province, non miglioravano nemmeno le cose. Le condizioni dei comuni erano quasi dappertutto deplorevoli, oltre che per le grandi ristrettezze, anche per gli intrighi locali e le frodi degli impiegati comunali.
Dove tali contribuzioni non erano passeggere, ma con forza sempre crescente pesavano per delle generazioni sul comune e sui singoli individui, anche la più ordinata economia pubblica o privata doveva sfasciarsi e spargere la più cruda miseria su tutti i popoli, dal Tago all'Eufrate. «Tutti i comuni sono rovinati» si legge in uno scritto pubblicato fin dal 684 = 70; lo stesso fu ripetuto per la Spagna e la Gallia Narbonese, cioè delle due province che si trovarono ancora in una discreta posizione economica.
Nell'Asia minore le città di Samo e di Alicarnasso erano quasi deserte; la condizione legale degli schiavi appariva colà, paragonata coi patimenti a cui soggiaceva il libero provinciale, un porto di pace, e persino il paziente asiatico era, secondo le descrizioni degli uomini di stato romani, divenuto stanco della vita.
Chi desiderasse approfondire quanto l'uomo può cadere in basso sia nelle azioni colpevoli, come nelle sofferenze non meno colpevoli di tutte le immaginabili ingiustizie, può leggere nei processi criminali dell'epoca ciò che i grandi romani seppero fare, e ciò che i Greci, i Siri ed i Fenici seppero soffrire. Persino gli stessi uomini di stato romani convenirono apertamente che il nome «romano» era inesprimibilmente odiato in tutta la Grecia e in Asia e che se i cittadini di Eraclea Pontica avevano ucciso una volta gli esattori romani, c'era solo da lamentare che questo non avvenisse più spesso.