12. Amministrazione della Spagna.
Il sistema d'amministrazione nelle due province spagnuole era simile a quello adottato per la Sicilia e per la Sardegna, ma non identico. La direzione suprema era posta in quelle province, come in queste, nelle mani di due proconsoli, la cui prima nomina fu fatta nel 557=197, nel quale anno avvenne anche la regolarizzazione dei confini e la definitiva organizzazione delle nuove province.
L'assennata disposizione della legge bebia (562=192), secondo la quale i pretori spagnuoli dovevano essere nominati sempre per due anni, non fu messa seriamente in pratica a causa della crescente concorrenza per le cariche supreme, e più ancora per la gelosa sorveglianza esercitata dal senato sugli impiegati, e quindi, eccettuando le deviazioni straordinarie, fu mantenuto in vigore l'irragionevole cambiamento annuale dei governanti romani anche per queste province lontane e difficili da conoscersi.
Tutti i comuni soggetti divennero tributari; ma invece delle decime e dei dazi, come in Sicilia e in Sardegna, le singole città e tribù furono aggravate, appunto come lo erano ai tempi dei Cartaginesi, d'imposte fisse in denaro ed altre prestazioni, che il senato nel 583=171 vietò si esigessero manu militari in conseguenza delle lagnanze dei comuni spagnuoli.
Le somministrazioni di grano non si facevano se non verso indennizzo, ed anche per questo il governatore non poteva prelevare oltre la ventesima parte del prodotto, ed in forza dell'accennata disposizione del senato il prezzo non ne poteva essere fissato arbitrariamente.
All'opposto, l'obbligo che fu imposto ai sudditi spagnuoli di somministrare contingenti agli eserciti romani, assunse in quelle province un'importanza ben diversa da quella che aveva assunta per lo meno nella pacifica Sicilia, e quest'obbligo veniva regolato con precisione anche nei diversi trattati. Pare inoltre che a molte città spagnuole sia stato concesso il diritto di battere moneta d'argento sul piede romano e che il governo romano non vi esercitasse il monopolio monetario come in Sicilia. Roma sentiva troppo il bisogno di avere in Spagna dei sudditi per usare i massimi riguardi possibili nell'introdurvi e farvi osservare la costituzione provinciale.
Nel novero dei comuni particolarmente favoriti da Roma appartenevano le grandi città marittime fondate dai Greci, dai Fenici e dai Romani: Sagunto, Cadice, Tarragona, le quali furono accolte nella lega romana come colonne naturali della signoria romana nella penisola.
La Spagna, in conclusione, era tanto dal lato militare come dal lato finanziario per Roma più un peso che non un vantaggio.
Viene quindi spontanea la domanda perchè il governo romano, nella cui politica non entrava ancora assolutamente il programma di conquiste ultramarine, non rinunziasse a questi incomodi possedimenti.
Le ragguardevoli relazioni commerciali, le importanti miniere di ferro e le miniere d'argento ancora più importanti[3] e famose da antichissimi tempi persino nel lontano oriente, che erano utilizzate dai Romani come lo erano state dai Cartaginesi, e della cui amministrazione ebbe cura particolarmente Marco Catone (559=195), vi avranno senza dubbio influito; ma la ragione principale per cui i Romani mantenevano la signoria diretta nella penisola era quella che qui mancava uno stato simile alla repubblica marsigliese nel paese dei Celti e al regno numidico nella Libia, e che non si poteva abbandonare la Spagna senza offrire il destro ad un avventuriero qualsiasi di farvi rivivere il regno spagnuolo dei Barca.