14. Morte di Mitridate.
Dalle alte mura del suo castello Mitridate supplicava il figlio di lasciargli almeno la vita e di non macchiare le sue mani nel sangue del proprio padre; ma la preghiera male suonava sulle labbra di un uomo, le cui mani erano grondanti del sangue della madre e di quello recentemente sparso del proprio innocente figlio Sifare, e Farnace nella grandezza della sua atrocità superò persino il padre.
Non vedendo quindi speranza di salvezza, il sultano decise di morire come aveva vissuto: le sue mogli, le sue concubine e le sue figlie, fra queste le giovani mogli dei re di Egitto e di Cipro, tutte dovettero sentire l'amarezza della morte e vuotare il nappo letale prima ch'egli stesso vuotasse il suo; ma temendo che il veleno agisse troppo lentamente, porse il collo a Betuito, uno dei suoi mercenari scelti, perchè glielo tagliasse.
Così moriva Mitridate Eupatore (691 = 63) a sessantotto anni di età, dopo aver regnato cinquantasette anni, ventisei dopo essere la prima volta sceso in campo contro i Romani.
La salma spedita da re Farnace a Pompeo come prova dei propri meriti e della sua lealtà, fu per ordine di Pompeo depositata nelle tombe reali di Sinope.
La morte di Mitridate valse ai Romani una vittoria: coronati d'alloro, proprio come se avessero da annunciare una vittoria, comparvero nel campo romano di Gerico i messaggeri spediti per riferire la catastrofe al generale. I Romani avevano un potente nemico di meno e tra i più grandi che essi abbiano avuto a combattere nel decadente oriente. Il popolo lo comprese per istinto; come Scipione aveva già menato maggior vanto di aver vinto Annibale che non Cartagine, così di fronte alla morte di Mitridate furono quasi dimenticate le vittorie riportate sulle moltissime tribù dell'oriente e sullo stesso gran re, e in occasione del trionfo di Pompeo nessuna cosa attirò gli sguardi della moltitudine più dei quadri che rappresentavano Mitridate fuggitivo che conduceva a mano il suo cavallo e morente in mezzo ai cadaveri delle sue figlie.
Comunque si voglia giudicare del carattere singolare di questo re, egli rimane però sempre un personaggio d'importanza storica universale in tutta la forza dell'espressione. Non era un genio, e forse nemmeno un uomo di molte doti personali; ma aveva quella assai terribile di odiare veramente e con questo odio egli sostenne con onore se non con successo per mezzo secolo l'ineguale lotta contro i formidabili suoi nemici.
Più che per la sua individualità egli ebbe importanza per il posto che la storia gli assegnò. Egli iniziò, quale sentinella avanzata della reazione dell'oriente contro gli occidentali, la nuova lotta dell'oriente contro l'occidente; e tanto i vinti quanto i vincitori rimasero persuasi, che di questa lotta, con la sua morte non si era alla fine, ma al principio.