11.Misure di repressione.
Tutti gli uomini assennati erano naturalmente d'accordo nel condannare questa religione spuria, non meno stolta che nociva; tanto gli aderenti all'antica fede, quanto i partigiani della cultura ellenica, eran d'accordo nello schernire o nello sdegnarsi per questa superstizione.
Nell'istruzione data da Catone al suo contadino è detto: «che senza conoscenza e senza ordine del padrone egli non debba fare alcun sacrificio, nè farne fare per conto proprio fuorchè sull'altare domestico e nei compitalia (feste in onore dei lari), e di non prendere consiglio nè dagli aruspici, nè dagl'indovini, nè dai Caldei».
E così si attribuisce a Catone il noto sarcasmo: «come un sacerdote possa frenare il proprio riso quando s'incontra con un collega», applicato in origine agli aruspici etruschi.
Quasi nel medesimo senso Ennio censura, con vero stile d'Euripide, i profeti e chi loro crede: «Questi vati superstiziosi, questi impudenti indovini, per inerzia, per insania e spinti dalla fame, che non sanno la propria via e pretendono mostrarla ad altri, promettono tesori a coloro da cui essi stessi vanno a mendicare una dramma»[4]. Ma in simili tempi la ragione è, fin dal principio, soccombente rispetto all'irragionevolezza. Il governo non mancò certamente d'interporsi: i più impostori furono puniti ed espulsi: ogni culto straniero, che non avesse speciale approvazione, fu vietato; persino la consultazione dell'oracolo di Preneste, a paragon di questo quasi innocua, fu proibita ufficialmente nel 512=242 e, come già si disse, quelli che prendevano parte ai misteri furono severamente perseguitati.
Ma quando i cervelli umani hanno dato di volta davvero, non v'ha legge che valga a ricondurli alla ragione.
Da quanto abbiamo esposto, si vedono le concessioni a cui il governo era stato costretto, o alle quali, per lo meno, si assoggettò.
L'uso dei Romani di consultare, in certe emergenze, i saggi etruschi, e gli sforzi del governo per perpetuare nelle più distinte famiglie etrusche la dottrina etrusca, e così pure il permesso di esercitare il culto segreto di Demetra, per nulla immorale e ristretto alle sole donne, si possono invero aggiungere ai riti stranieri innocui e relativamente indifferenti, anticamente accolti. Ma l'ammissione del culto della «madre degli dei» era un cattivo indizio della debolezza del governo di fronte alla nuova superstizione, e, forse, anche di quanto esso stesso se ne sentisse penetrato; ed è egualmente da attribuire ad una imperdonabile trascuratezza, se non a qualche cosa di peggio, se le autorità intervennero così tardi, e soltanto dietro un'accidentale informazione, ad impedire uno scandalo, quale era quello dei baccanali.