6. Condizioni sociali d'Italia.
L'amministrazione era nell'interno e all'estero ciò che poteva essere sotto un tale governo.
La rovina sociale d'Italia andava estendendosi con terribile rapidità; da quando l'aristocrazia si era procurata la legale licenza di acquistare le tenute dei piccoli possidenti, e nella novella sua baldanza si faceva ogni dì più ardita di scacciarneli, le tenute campestri scomparivano, come le gocce di pioggia nel mare.
Come l'oligarchia economica eguagliasse l'oligarchia politica ne fa fede il detto di un democratico moderato, Lucio Marcio Filippo (650 = 104) che in tutta la cittadinanza si contavano appena 2000 famiglie agiate. Quali ne fossero le conseguenze ce lo provano un'altra volta le sollevazioni degli schiavi che nei primi anni della guerra cimbrica scoppiarono in Italia, a Nuceria, a Capua, nel territorio di Turio.
Qui la schiera dei rivoltosi era così formidabile, che il pretore urbano fu costretto a muoverle contro alla testa d'una legione; nè tuttavia potè impadronirsene colle armi, ma solo con un tradimento astutamente immaginato.
È degno di rilievo come alla testa degli ammutinati non si trovasse uno schiavo, ma il cavaliere romano Tito Vezio, indotto dai suoi debiti al disperato partito di dare la libertà ai suoi schiavi dichiarandosi loro re (650 = 104).
Quanto pensiero desse al governo l'accrescersi degli schiavi in Italia lo provano le misure precauzionali relative alla lavatura dell'oro di Victumulae, che dal 611 = 143 era esercitata per conto del governo romano: si obbligarono prima gli appaltatori a non impiegare più di 5000 operai, poi l'esercizio fu del tutto sospeso con un decreto del senato.
Sotto un tale governo tutto si poteva temere, qualora, com'era possibile, un esercito transalpino calando in Italia sollevasse alle armi gli schiavi, coi quali per la maggior parte avevano comune l'origine.