11. Il paese dei Celti diventa romano.
I Celti italici erano dunque vinti completamente, e come poco tempo prima i Romani, nella guerra contro i pirati dell'Illiria, avevano mostrato ai Greci la differenza che passava tra il dominio marittimo romano e il greco, così ora avevano splendidamente provato che Roma sapeva guardare le porte dell'Italia contro le incursioni dei barbari molto diversamente da quello che la Macedonia aveva fatto rispetto alla Grecia; e che, malgrado i dissensi interni, l'Italia di fronte al comune nemico, si trovava altrettanto unita quanto la Grecia era discorde.
Il confine delle Alpi era raggiunto in quanto che tutta la valle del Po ubbidiva ai Romani come i territori dei Cenomani e dei Veneti: per cogliere il frutto di questa vittoria e per romanizzare il paese occorreva un certo tempo.
Per ottenere ciò i Romani non ebbero un modo uniforme di procedere. Nella parte montuosa al nord-ovest d'Italia e nei distretti più lontani tra le Alpi ed il Po si tollerarono in generale gli abitanti che vi si trovavano; le numerose così dette guerre che si sostennero contro i Liguri (la prima nel 516=238), sembra che siano state piuttosto caccie agli schiavi, e, per quanto i distretti e le valli si sottomettessero ai Romani, l'autorità di questi non vi esisteva per lo più che di nome.
Pare che anche la spedizione nell'Istria (533=221) non abbia avuto altra mira che quella di distruggere gli ultimi e più reconditi nascondigli dei pirati che infestavano l'Adriatico, e di stabilire una comunicazione per terra lungo la costa tra le conquiste italiche e i nuovi acquisti fatti sull'altra costa.
I Celti invece, che abitavano il paese a sud del Po, furono annientati. Il debole vincolo che univa le loro varie tribù, aveva per conseguenza che nessuno dei cantoni settentrionali si prendesse cura dei connazionali se non per danaro; i Romani poi li consideravano non solo come loro nemici capitali, ma come gli usurpatori del loro naturale retaggio. La grande distribuzione di terre fattasi nel 522=232 aveva popolato di coloni romani tutto il territorio posto tra il Piceno e Rimini; si continuò su questa via e non riuscì difficile scacciare e distruggere una popolazione semibarbara, quale era la celtica, che considerava l'agricoltura come cosa secondaria, e che mancava di città murate. La grande strada settentrionale condotta forse ottant'anni prima da Otricoli a Narni, proseguita negli ultimi tempi sino a Spoleto (514=240), fortezza di nuova costruzione, fu allora prolungata col nome di via Flaminia (534=220), attraverso il nuovo borgo Forum Flamini (presso Foligno) pel passo del Furlo alla costa e lungo la medesima da Fano a Rimini.
Fu questa la prima strada carreggiabile che attraversasse l'Appennino congiungendo i due mari italiani.
I Romani si affrettarono a munire di città il fertile territorio conquistato. In riva al Po era già stata fondata Piacenza per assicurare il passaggio del fiume; già erano state gettate le fondamenta di Cremona sulla riva sinistra e molto inoltrati i lavori delle mura di Modena sulla riva destra nel territorio dei Boi; già si disponevano nuove distribuzioni di terre, ed erano stati dati gli ordini per proseguire la suddetta via, quando un improvviso avvenimento venne ad interrompere i Romani sul punto in cui stavano per raccogliere i frutti dei loro successi.