32. Morte di Pompeo.
Mentre gli avanzi del partito vinto erravano abbandonati alla loro sorte, e quelli che erano decisi a continuare la lotta non trovavano modo di orientarsi, Cesare, secondo la sua abitudine, lasciò da parte ogni altro pensiero e inseguì Pompeo, il solo dei suoi avversari che egli stimasse come ufficiale e proprio quello che, fatto prigioniero, ne avrebbe verosimilmente paralizzato una metà, e forse la più pericolosa.
Egli passò l'Ellesponto con poche truppe – la sua sola navicella s'incontrò in una flotta nemica diretta nel Mar Nero, e ne fece prigioniero tutto l'equipaggio rimasto quasi istupidito dalla notizia della battaglia di Farsalo – e, dopo aver dato le più urgenti disposizioni, si affrettò a inseguire Pompeo alla volta dell'oriente.
Lasciato il campo di battaglia di Farsalo, Pompeo si era recato a Lesbo per prendervi la moglie e Sesto, suo secondogenito, e aveva quindi fatto vela per Cilicia lungo l'Asia minore e finalmente per Cipro. Egli avrebbe potuto raggiungere i suoi aderenti in Corsica o in Africa, ma l'avversione che nutriva verso i suoi alleati aristocratici ed il pensiero dell'accoglienza, cui dopo la giornata di Farsalo e anzitutto dopo la vergognosa sua fuga, doveva aspettarsi, sembrano averlo deciso ad andare per la sua strada e di mettersi sotto la protezione del re dei Parti piuttosto che sotto quella di Catone.
Mentre egli era intento a procurarsi danari e schiavi dagli appaltatori e dai commercianti romani in Cipro e ad armare una schiera di 2000 schiavi, ebbe la notizia che Antiochia si era dichiarata per Cesare e che la via che conduceva nel regno dei Parti era chiusa. Allora cambiò il suo piano e spiegò le vele alla volta dell'Egitto dove servivano moltissimi de' suoi vecchi soldati e dove la posizione ed i ricchi mezzi del paese gli davano tempo e modo di riorganizzare la guerra.
Dopo la morte di Tolomeo Aulete (maggio 703 = 51) erano saliti sul trono e insieme come sposi, i suoi figli Cleopatra di circa sedici anni e il decenne Tolomeo Dioniso. Ma non molto dopo, il fratello, o piuttosto il suo tutore Poteino, cacciò dal regno la sorella e la costrinse a cercare un asilo nella Siria, dove ella si preparò a ritornare nel paterno regno. Tolomeo e Poteino si trovavano appunto con tutto l'esercito egiziano presso Pelusio, per impedire a Cleopatra l'ingresso dalla parte di levante, quando Pompeo gettò l'ancora presso il capo Casio e fece pregare il re di permettergli lo sbarco.
Il re, da lungo tempo informato della catastrofe di Farsaglia, voleva respingere Pompeo; ma il suo maggiordomo, Teodoto, fece osservare che allora Pompeo si sarebbe servito probabilmente delle sue relazioni nell'esercito egizio per farvi succedere una sollevazione, e che era cosa migliore e più sicura, preferibile anche per un certo riguardo verso Cesare, quella di cogliere l'occasione per spacciare Pompeo da questo mondo.
Simili ragionamenti politici non mancavano del loro effetto presso gli uomini di stato del mondo ellenico. Il generale delle regie truppe, Achille, con alcuni uomini, vecchi soldati di Pompeo, si accostarono con una barca alla nave di Pompeo e l'invitarono a recarsi dal re. Non potendo accostarsi al lido con la propria nave, a causa del bassofondo, lo pregarono di scendere nel loro battello. Appena Pompeo ebbe messo piede a terra, il tribuno di guerra Lucio Settimio gli vibrò un colpo di stocco per di dietro sotto gli occhi della moglie e del figlio, che dal ponte della loro nave furono testimoni dell'assassinio commesso, senza poterlo nè impedire nè vendicare (28 settembre 706 = 48).
Il giorno stesso in cui tredici anni prima, trionfante di Mitridate, aveva fatto il suo ingresso nella capitale, fu spento, sopra una deserta duna della inospitale spiaggia casica per mano di un suo veterano, l'uomo che durante una generazione fu chiamato il Grande e che per molti anni aveva esercitato la signoria su Roma.
Buon ufficiale, ma fornito di mediocri qualità di mente e di cuore, il destino, con una diabolica perseveranza di trenta anni, gli aveva permesso di assolvere tutti i brillanti e facili compiti, gli aveva permesso di cogliere tutti gli allori piantati ed educati da altre mani, gli aveva offerto tutti i mezzi per raggiungere il supremo potere, tanto per dare un esempio di falsa grandezza, di cui la storia non ha l'eguale.
Fra tutte le cose deplorevoli non ve ne ha una che superi quella di voler parer di più di quello che si è; ed è una fatalità della monarchia che questa deplorevole condizione le sia inevitabile compagna, poichè appena ogni mille anni sorge in un popolo un uomo che non solo porti il nome di re, ma che sia veramente degno di esserlo.
Non essendosi questa sproporzione tra l'apparenza e la realtà forse mai così bruscamente manifestata come in Pompeo, si può dire con tutta serietà che in certo senso egli sia stato il primo della serie degli imperatori romani.
Quando Cesare, seguendo le tracce di Pompeo, arrivò nella rada di Alessandria, tutto era tranquillo. Allorchè l'assassino di Pompeo gli andò incontro e salì la sua nave per presentargli la testa di quell'uomo che era stato suo genero e per molti anni suo collega nella signoria, e per il quale aveva deciso di venire in Egitto per averlo vivo in suo potere, egli volse lo sguardo profondamente commosso.
Non si può sapere qual sorte avrebbe riservato Cesare a quell'infelice una volta in suo potere; il ferro dello zelante assassino ha impedito di conoscerla. Ma se l'umanità, che nel grande animo di Cesare trovava posto accanto all'orgoglio, gli imponeva di essere clemente coll'antico suo amico, anche il suo interesse esigeva che egli rendesse il suo prigioniero innocuo in modo diverso che per mano del carnefice.
Pompeo era stato per vent'anni riconosciuto signore di Roma; una così radicata signoria non si cancella con la morte del signore. La morte di Pompeo non sciolse i pompeiani, ma invece di un capo attempato, inetto e sfruttato, diede loro, nei suoi due figli Gneo e Sesto, due condottieri giovani ed attivi, ed in Sesto anche una decisa capacità.
Alla nuova monarchia si attaccò subito come parassita la pretesa ereditaria, ed era assai dubbio se da questo cambiamento di persone Cesare non risentisse più scapito che vantaggio.