26. Trattative di pace.
Dopo tali perdite, il partito della pace, che era stato condannato al silenzio per sedici anni, potè in Cartagine alzare di nuovo il capo e sollevarsi apertamente contro il regime dei Barca e dei patrioti.
Asdrubale, figlio di Giscone, fu dal governo condannato a morte in contumacia, e fu fatto un tentativo per ottenere da Scipione l'armistizio e la pace.
Questi chiese che si cedessero i possedimenti spagnuoli e le isole del Mediterraneo, si lasciasse a Massinissa il regno di Siface, si consegnassero le navi da guerra, meno venti, e si pagasse una contribuzione di guerra di 4000 talenti (circa 25.000.000 di lire), condizioni che appaiono tanto straordinariamente favorevoli per Cartagine da far sorgere naturalmente il dubbio che Scipione le dettasse piuttosto nel proprio interesse che in quello di Roma.
I plenipotenziari cartaginesi le accettarono colla riserva della ratifica da parte del loro governo.
Ma il partito dei patrioti cartaginesi non aveva intenzione di rinunziare così facilmente alla lotta; la fede nella giusta causa, la fiducia nel grande capitano, e persino l'esempio che Roma aveva dato, lo infiammava a perseverare, fatta anche astrazione della circostanza che la pace doveva necessariamente portare al timone dello stato il partito avversario, il che doveva essere cagione della loro rovina.
Nella borghesia il partito patriottico aveva il sopravvento; esso decise di lasciare che l'opposizione trattasse della pace, e di prepararsi nel frattempo ad un ultimo decisivo sforzo.
Si mandò l'ordine a Magone e ad Annibale di ritornare con tutta fretta in Africa. Magone, che da tre anni (dal 549 al 551=205 al 203) si affaticava a far rivivere nell'Italia settentrionale una coalizione contro Roma, aveva appunto allora dato una battaglia sul territorio degli Insubri (intorno a Milano) all'esercito romano di gran lunga superiore in numero, nella quale la cavalleria romana era già stata respinta e la fanteria messa alle strette; la vittoria sembrava propendere in favore dei Cartaginesi, quando il temerario attacco di un corpo di truppe romane contro gli elefanti e anzitutto la grave ferita riportata dall'amato e valoroso capitano, mutò la fortuna della giornata.
L'esercito cartaginese dovette ritirarsi sulle coste della Liguria, ove ricevette l'ordine d'imbarcarsi e s'imbarcò. Magone morì nel tragitto in conseguenza della sua ferita.
Annibale avrebbe forse fatto ritorno in Africa prima ancora che glie ne giungesse l'ordine, se le ultime trattative con Filippo non gli avessero fatto concepire la speranza di riuscire di maggiore utilità alla sua patria in Italia che nella Libia; quando gli pervenne l'ordine in Crotone, dove in quel tempo si trovava, non tardò a piegarvisi.
Egli fece ammazzare i suoi cavalli, e così pure i soldati italiani che non vollero seguirlo oltre il mare, e s'imbarcò sulle navi da trasporto che da lungo tempo stavano pronte nella rada di Crotone.
I cittadini romani respirarono quando il formidabile leone della Libia, che nemmeno allora nessuno osava costringere alla partenza, volse spontaneamente le spalle al suolo italico; in questa circostanza fu dal senato e dai cittadini concessa al quasi nonagenario Quinto Fabio, all'unico ancor vivente generale romano che avesse percorso con onore tutti gli stadi di quei difficili tempi, la corona d'erba[3]. Questa corona che, secondo il costume romano, l'esercito liberato offriva al suo liberatore, era la più alta distinzione che fosse giammai stata conferita ad un cittadino romano, ed essa fu l'ultimo onorifico distintivo dell'antico duce, il quale nello stesso anno (551=203) cessò di vivere.
Annibale giunse sano e salvo a Leptis, non già perchè protetto dall'armistizio, ma per la celerità del suo viaggio e per favor di fortuna. L'ultimo rampollo della «covata di leoni» d'Amilcare rimetteva di nuovo il piede sul patrio suolo dopo trentasei anni, dacchè, quasi fanciullo, l'aveva lasciato per iniziarsi in quella carriera eroica e grandiosa, eppure così inutile.
Partendo si era diretto verso occidente, ora ritornava dall'oriente dopo aver descritto un vasto circolo di vittorie attorno al mare di Cartagine.
Ora che era avvenuto ciò che aveva voluto impedire, e che avrebbe impedito se glie ne fossero stati dati i mezzi, ora era richiesto di salvare, ove fosse possibile, la patria dall'estremo pericolo, ed egli lo fece senza querimonie e senza rampogne.