15. Combattimenti nell'Italia meridionale.
Sulle prime la guerra si svolse particolarmente verso la Campania.
Annibale giunse in tempo per difendere la sua capitale impedendone il blocco; ma in grazia delle forti guarnigioni che le presidiavano, non potè togliere ai Romani nessuna delle città campane da essi possedute, nè potè impedire che gli eserciti consolari, oltre un buon numero di città provinciali meno importanti, conquistassero dopo una strenua difesa anche Casilino, che acquistava loro il passaggio del Volturno.
Annibale fece un tentativo per prendere Taranto, specialmente con lo scopo di assicurarsi un buon porto per lo sbarco dell'esercito macedone; ma il colpo gli andò fallito.
Nel frattempo l'esercito abruzzese dei Cartaginesi, comandato da Annone, si batteva nella Lucania con l'esercito romano dell'Apulia.
Tiberio Gracco vi sostenne la lotta con successo, e dopo un felice combattimento presso Benevento, in cui si segnalarono le legioni di schiavi arruolati per forza, fu a quegli schiavi soldati concesso dal generale, in nome del popolo, la libertà e la cittadinanza.
L'anno seguente (541=213) i Romani riconquistarono la ricca ed importante città di Arpi, i cui cittadini, appena i Romani furono entro le mura, fecero causa comune con essi contro il presidio cartaginese.
I legami della simmachia di Annibale andavano in generale rilassandosi; un numero considerevole dei più distinti Capuani, e parecchie città del Bruzio passarono dalla parte dei Romani, e persino una divisione spagnuola dell'esercito cartaginese, informata da emissari spagnuoli dello stato delle cose in patria, passò dalle dipendenze cartaginesi a quelle romane.
L'anno 542=212 fu per i Romani meno propizio per nuovi errori politici e militari, dai quali Annibale non mancò di trar profitto.
Le relazioni che questi manteneva nella città della Magna Grecia non avevano prodotto nessun serio risultato; soltanto gli ostaggi di Taranto e di Turio, che si trovavano a Roma, si lasciarono indurre dai suoi emissari ad un folle tentativo di fuga; ma furono tosto arrestati dagli avamposti romani.
Però l'insana bramosia di vendetta dei Romani giovò ad Annibale più di quello che non fecero i suoi intrighi; l'esecuzione di tutti gli ostaggi datisi alla fuga privò i Romani d'un prezioso pegno, e i popoli della Magna Grecia irritati da questo fatto, andarono meditando come aprire le porte ad Annibale.
E Taranto fu difatti occupata dai Cartaginesi di intesa con gli abitanti; ma anche per trascuratezza del comandante romano, il quale potè appena mantenersi nella rocca del presidio.
Eraclea, Turio e Metaponto, dalla quale ultima città si era tolto il presidio per soccorrere la rocca di Taranto, seguirono l'esempio di questa.
Il pericolo di uno sbarco dei Macedoni si era con ciò fatto così grande, che Roma si sentì costretta a rivolgere nuovamente la sua attenzione e le sue cure alla guerra greca quasi interamente trascurata. Giunsero quindi molto opportunamente tanto la presa di Siracusa quanto il felice avviamento della guerra in Spagna.
Sul teatro principale della guerra, nella Campania, si combatteva con alterno successo. Le legioni accampate nelle vicinanze di Capua, pur non avendo interamente bloccata la città, avevano impediti la coltivazione ed il trasporto delle messi in modo che la popolosa città aveva urgente bisogno di ricevere dall'esterno le necessarie vettovaglie. Annibale raccolse quindi un ragguardevole convoglio di grano, e ordinò ai Campani di venire a prenderlo in consegna presso Benevento; ma la loro lentezza lasciò ai consoli Quinto Flacco ed Appio Claudio il tempo di accorrere, di infliggere una grave sconfitta ad Annone che scortava il convoglio e di impossessarsi del suo campo e di tutte le provvigioni.
I due consoli strinsero poi d'assedio la città, mentre Tiberio Gracco si pose sulla via Appia per impedire che Annibale tentasse di liberarla.
Ma questo valoroso cadde estinto per frode d'un traditore lucano, e la sua morte equivalse ad una sconfitta, poichè il suo esercito, che si componeva quasi interamente di schiavi da esso resi liberi, dopo la morte dell'amato generale si disperse.
Annibale trovò quindi aperta la via di Capua e costrinse, coll'inaspettata sua apparizione, i due consoli a togliere l'assedio appena iniziato. Ancor prima dell'arrivo di Annibale, la loro cavalleria era stata gravemente battuta da quella dei Cartaginesi, che era di guarnigione a Capua sotto gli ordini di Annone e di Bostar e da quella non meno valorosa della Campania.
La totale sconfitta delle truppe regolari e delle schiere di volontari condotti nella Lucania da Marco Centennio, imprudentemente promosso da sottufficiale a generale, e la quasi totale sconfitta del trascurato e arrogante pretore Gneo Fulvio Flacco nell'Apulia, chiusero la lunga serie delle disgrazie accadute in questo anno.
Tuttavia la tenace perseveranza dei Romani fece andar fallito anche questa volta, nel momento più decisivo, il rapido successo di Annibale. Egli aveva appena voltato le spalle a Capua per recarsi nell'Apulia, che gli eserciti romani si raccolsero nuovamente attorno a quella città, presso Pozzuoli e presso il Volturno, sotto il comando di Quinto Fulvio, e sulla via di Nola sotto quello del pretore Gaio Claudio Nerone. I tre campi ben trincerati, congiunti tra loro con linee fortificate, impedivano ogni accesso, e la grande città, scarsamente provvista di viveri, ove non giungesse soccorso alcuno, col semplice blocco avrebbe dovuto in breve tempo capitolare.
Trascorso l'inverno del 542-3=212-1 erano quasi alla fine anche i viveri. I messaggeri spediti con tutta urgenza ad Annibale per chiedere sollecito aiuto, e che avevano a gran stento potuto attraversare le ben guardate linee dei Romani, lo trovarono occupato a stringere d'assedio la rocca di Taranto. Annibale partì immediatamente ed a marce forzate da Taranto per la Campania, con trentatrè elefanti e col fiore delle sue truppe, fece prigioniero il presidio romano a Calazia, e mise gli alloggiamenti presso il monte Tifata, a pochissima distanza da Capua, nella certezza che i comandanti romani, appunto come avevano fatto l'anno precedente, leverebbero l'assedio.
Ma i Romani, che avevano avuto tempo di munire di trincee i loro campi e le loro linee, rendendole come fortezze, rimasero fermi nei ripari, e la cavalleria campana e quella dei Numidi andarono a cozzare inutilmente contro le loro linee.
Annibale non poteva pensare ad un serio assalto, ben prevedendo che se avanzava, avrebbe subito attirato nella Campania gli altri eserciti romani, quando la mancanza di foraggio non lo costringesse ad abbandonar ancor prima il paese sistematicamente depauperato per i foraggiamenti.