8 Uguaglianza fra i cittadini.
Tanto erano dure e disuguali le relazioni tra il cittadino e il non cittadino, altrettanto rigorosa era l'uguaglianza innanzi alla legge dei cittadini fra di loro. Non v'è forse alcun popolo che abbia saputo, come i Romani, più inesorabilmente sostenere l'una e l'altra delle due tesi. Forse in nessun caso risalta con tutta chiarezza la severità dell'antitesi tra i cittadini e i non cittadini come nell'antichissima instituzione della cittadinanza onoraria la quale, originariamente, aveva appunto per iscopo di mantenere questa antitesi.
Quando uno straniero per determinazione del comune veniva aggregato (cooptare) ai cittadini, egli poteva rinunciare alla sua precedente cittadinanza, e allora soltanto entrava pienamente nella nuova comunità, ma poteva anche unire alla vecchia la nuova cittadinanza concessagli.
Quest'uso era antichissimo e fu sempre mantenuto nell'Ellade, dove, anche più tardi, uno stesso individuo era cittadino di parecchi comuni. Ma il sentimento comunale, assai più sviluppato nel Lazio, non permetteva che si potesse appartenere contemporaneamente a due comuni, e nel caso che il cittadino aggregato non avesse l'intenzione di rinunciare alla sua precedente cittadinanza, la sua nomina di cittadino onorario non conferiva allo straniero altro diritto che quello della paterna protezione o patronato. Ma non ostante questa severa limitazione, nell'interno del comune romano veniva allontanata ogni differenza giuridica tra i suoi membri. Già si è detto che le differenze esistenti nell'interno della casa, che certamente non si potevano sopprimere, erano quasi ignorate quando si trattava di rapporti pubblici. Colui che, nella qualità di figlio, era soggetto al padre, poteva in un dato caso comandargli come signore del comune.
Non esistevano però i privilegi di casta. I Ramni e i Tizi, come tribù più antiche del comune, ottennero bensì il primo posto tra le tribù; e così pure i cittadini anziani (maiores gentes), come famiglie appartenenti al comune romano da tempi immemorabili, si distinguevano dai neocittadini (minores gentes), appartenenti cioè a famiglie la cui ammissione nella cittadinanza risaliva a un avvenimento conosciuto, come le famiglie albane ammesse in Roma per decreto del popolo dopo la caduta d'Alba. Ma codesta differenza era solo nominale e il cittadino anziano non aveva, in confronto del neo-cittadino, il menomo privilegio. La cavalleria cittadina, che in quel tempo era adoperata a cavallo ed a piedi nei singolari combattimenti davanti alle truppe di linea e che era considerata un'arma speciale poichè comprendeva gli uomini più agiati, meglio armati e più agguerriti, era tenuta, naturalmente, in maggior conto della fanteria; ma anche quest'antitesi non andava oltre il fatto peculiare, da cui era nata; e l'ammissione nella cavalleria era concessa ad ogni patrizio.
La sola divisione costituzionale della cittadinanza accordava differenze legittime; in tutto il resto l'eguaglianza legale di tutti i membri del comune veniva osservata persino nell'aspetto esteriore. Il modo di vestire distingueva bensì il capo del comune dai membri dello stesso, il senatore dal cittadino non appartenente al senato, l'uomo adulto iscritto alla milizia dall'adolescente ancora inetto alle armi; ma il ricco e il nobile, come il povero e quello di oscuri natali, non potevano comparire in pubblico che nella stessa semplice toga di lana bianca.
Questa perfetta eguaglianza dei cittadini è senza dubbio originaria nella costituzione comunale indogermanica ma il rigore con cui fu ammessa e praticata in Roma è una delle più notevoli e importanti caratteristiche della nazione latina; e si può ben dire che in Italia nessuna razza precedentemente stabilitasi nel paese e di minor attitudine civile si incontrò con gli immigrati latini e, quindi, mancò loro la principale occasione che determinò la formazione delle caste indiane, delle spartane e delle tessaliche e, in generale, della nobiltà ellenica e forse anche le distinzioni delle classi tra i Tedeschi.