31. I capi dispersi.
Sebbene Cesare cercasse di calmare colla prudenza e con la moderazione lo sdegno dei suoi avversari, e si desse ogni cura per diminuirne il numero, tuttavia la lotta continuava senza posa. Ma i capi del partito avevano quasi tutti combattuto a Farsalo e quantunque tutti si salvassero, eccettuato Lucio Domizio Enobarbo morto fuggendo, erano però stati dispersi, per cui non poterono concertare un piano per la continuazione della guerra.
Il maggior numero di essi, varcando le scoscese montagne della Macedonia e dell'Illiria, o coll'aiuto della flotta, arrivarono a Corcira, dove Marco Catone aveva il comando della riserva. Qui si tenne una specie di consiglio di guerra sotto la presidenza di Catone, al quale assistettero Metello Scipione, Tito Labieno, Lucio Afranio, Gneo Pompeo figlio ed altri; ma in parte per l'assenza del supremo duce e per l'angosciosa incertezza della sua sorte, in parte per l'interno scompiglio del partito, non si venne a nessuna conclusione e infine ognuno prese quelle misure che gli sembravano più adatte al proprio interesse o a quello della repubblica. Era infatti assai difficile scegliere fra i moltissimi partiti quello che avrebbe più a lungo permesso di resistere.
Colla battaglia di Farsalo si erano perdute la Macedonia e la Grecia. Catone, il quale, pervenutagli la notizia della sconfitta aveva subito sgombrato Durazzo, conservò veramente al partito costituzionale ancora per qualche tempo Corcira, e Rutilio Rufo il Peloponneso. Sembrava anche che i pompeiani si volessero difendere in parte nel Peloponneso; ma bastò la notizia dell'avvicinarsi di Caleno per scacciarli[7]. Così non si tentennò di mantenersi in Corcira.
Le squadre pompeiane spedite dopo la vittoria di Durazzo sulle coste italiche e siciliane per operare contro i porti di Brindisi, di Messana e di Vibo avevano riportati importanti successi, e specialmente a Messana, dove avevano arsa tutta la flotta di Cesare che vi si stava costruendo; ma quelle navi appartenenti per la maggior parte all'Asia minore e alla Siria, dopo la giornata di Farsalo, furono richiamate dai comuni cui appartenevano e la spedizione si dileguò da sè.
Nell'Asia minore e nella Siria non vi erano allora truppe nè dell'uno nè dell'altro partito, eccettuato l'esercito di Farnace al Bosforo, il quale, ostensibilmente per conto di Cesare, aveva occupate parecchie province dei suoi avversari.
In Egitto stanziava veramente ancora un importante esercito romano, formato dalle truppe lasciatevi da Gabinio e in seguito completate con vagabondi italici e con banditi sirii o cilicii; ma era naturale, e il richiamo del naviglio egiziano lo confermò ufficialmente, che la corte d'Alessandria non avesse l'intenzione di tenersi col partito vinto, meno ancora di mettere a sua disposizione le sue truppe.
Condizioni più favorevoli si offrivano ai vinti in occidente. In Spagna le simpatie per Pompeo, tanto nell'esercito quanto nella popolazione, erano così pronunciate, che i cesariani furono costretti a rinunciare all'aggressione che meditavano di fare contro l'Africa, e sembrava inevitabile una insurrezione appena nella penisola comparisse un abile condottiero.
In Africa la coalizione, o per dir meglio il vero autocrate, Giuba, re di Numidia, aveva continuato ad armare dall'autunno 705 = 49 in poi senza il minimo ostacolo.
Se dunque in conseguenza della giornata di Farsaglia la coalizione aveva perduto tutto l'oriente, essa poteva per contro continuare la guerra probabilmente in modo onorevole in Spagna, con sicurezza in Africa, poichè chiedere dal Re di Numidia, il quale era da lungo tempo tributario della repubblica romana, aiuto contro concittadini rivoluzionari era per il romano una dolorosa umiliazione, ma non mai un tradimento.
Chi in questa lotta disperata non badasse più nè al diritto nè all'onore, poteva, mettendo se stesso fuori della legge, fare anche una guerra da brigante, o, stringendo alleanza con potentati vicini indipendenti, attirare il nemico del paese a prender parte nella lotta interna; o finalmente, riconoscendo apparentemente la monarchia, sollecitare la restaurazione della legittima repubblica col ferro dell'assassino.
La prova più naturale e più evidente della disperata condizione dei vinti fu la loro diserzione e la protesta contro la nuova monarchia. Le montagne ed anzitutto il mare erano stati sempre, a memoria d'uomo, il ricovero di tutti i delinquenti, degli infelici e di quelli messi fuori della legge. I pompeiani e i repubblicani avevano bel giuoco di combattere con baldanza nelle montagne e sui mari la monarchia di Cesare che li aveva espulsi, e particolarmente lo aveva la pirateria esercitata con maggiori proporzioni, più compatta e con uno scopo più determinato.
Anche dopo il richiamo delle squadre provenienti dall'oriente, essi disponevano ancora di un ragguardevole naviglio proprio, mentre Cesare ne mancava, per così dire, quasi completamente, e la loro lega coi Dalmati, i quali erano insorti contro Cesare per proprio conto, la loro signoria sui mari e sulle più importanti piazze marittime erano, per la guerra di mare condotta alla spicciolata, di assai buon augurio.
Come una volta la caccia data da Silla ai democratici aveva finito con la sollevazione sertoriana, che prima fu una lotta di pirati, poi di assassini, e divenne facilmente una guerra assai grave, così poteva ora sorgere sul mare non ancora assoggettato – qualora l'aristocrazia catoniana o i partigiani di Pompeo avessero lo spirito ed il coraggio della democrazia mariana e avessero trovato un buon ammiraglio – una repubblica indipendente dalla monarchia di Cesare, e forse capace di misurarsi con questa.
Più severa disapprovazione merita sotto ogni rapporto la risoluzione di associare nella guerra civile romana uno stato limitrofo indipendente e di provocare così una controrivoluzione: la legge e la coscienza condannano più severamente il disertore che non il brigante, e trova più facilmente la via per ritornare in uno stato libero e ordinato la vittoriosa schiera di banditi che non una emigrazione ricondotta dal nemico nel paese.
Del resto non era probabile che il partito vinto potesse conseguire una restaurazione su questa via. L'unico stato sul quale avrebbe potuto tentare di fare assegnamento, era quello dei Parti, e anche di questo non si sapeva bene se esso avrebbe preso la cosa sul serio, ed era poi molto improbabile che esso volesse scendere in campo contro Cesare. Il tempo delle congiure non era ancora venuto.