16. Storia universale.
Nella letteratura romana di quest'epoca sorge accanto alla storia locale la storia universale, o per dir meglio la storia unita romano-ellenica.
Cornelio Nepote (c. 650-104 = 725-29) fu il primo a comporre una cronaca universale (edita avanti il 700 = 54) ed una collezione biografica, ordinata secondo certe categorie di personaggi romani e greci, distinti sotto i rapporti politici e letterari, o che almeno ebbero una certa importanza nella storia greco-romana.
Questi lavori si connettono colle storie universali che i Greci da lungo tempo scrivevano, e appunto queste cronache universali, come ad esempio quella di Castore, genero del re di Galazia, Deiotaro, chiusa nell'anno 698 = 56, cominciarono allora a comprendere entro il loro circolo anche la storia romana, che sino allora era stata da essi trascurata.
Questi lavori miravano senza dubbio, appunto come fece Polibio, a porre al posto della storia locale quella dei paesi bagnati dal Mediterraneo, ma ciò che in Polibio fu frutto di una grandiosa, chiara intelligenza e di un profondo senso storico, è in queste cronache piuttosto il prodotto del bisogno pratico per la istruzione scolastica e per la propria.
Questa storia universale, questi compendii per le scuole, questi manuali da consultare, e tutta la letteratura che vi si riferisce e che più tardi divenne molto estesa anche nella lingua latina, si possono appena appena ascrivere alla storiografia scolastica; e Nepote stesso non era altro che un semplice compilatore, non distinto per talento e ancor meno per seguire un piano prestabilito.
La storiografia di quest'epoca è notevole e in sommo grado caratteristica, ma è anche spiacevole come l'epoca stessa. Il compenetrarsi reciproco della letteratura greca e latina non si mostra in nessun genere così chiaramente come nella storia; qui entrambe le letterature si eguagliano tanto nella materia quanto nella forma, ed il concetto unitario della storia ellenico-italica, col quale Polibio aveva precorso il suo tempo, era ora appreso nelle scuole tanto dal fanciullo greco quanto dal romano. Ma se lo stato mediterraneo aveva trovato uno storiografo prima di avere la coscienza di se stesso, ora che questa coscienza era stabilita, non sorgeva nè presso i Greci nè presso i Romani un uomo che potesse darle la vera espressione.
Cicerone dice che non esiste una vera storiografia romana e per quanto noi possiamo giudicare, è questa una pura verità. L'investigazione si scosta dalla storiografia, la storiografia dalla investigazione; la letteratura vacilla tra il libro scolastico ed il romanzo. Tutti i generi puri dell'arte, l'epopea, il dramma, la storia, la lirica, sono frivolezze in questo mondo frivolo; ma in nessun genere si specchia però con così spaventosa chiarezza la decadenza dell'epoca ciceroniana come nella storiografia.