38. Organizzazione del nuovo Stato.
Se quindi il nuovo stato unificato era dotato di una nazionalità, che necessariamente difettava di una individualità popolare, ed era piuttosto un prodotto inanimato dell'arte che un fresco germoglio della natura, esso abbisognava ancora della unità in quelle istituzioni che sono la vita della nazione: nella costituzione e nel governo, nella religione e nell'amministrazione della giustizia, nelle monete, nei pesi e nelle misure; rispetto alle quali le specialità locali delle più differenti specie si comportavano perfettamente, come era naturale, coll'unità essenziale dello stato.
In questo campo, non si trattava dappertutto che di inizi, poichè il compimento dell'unità della monarchia di Cesare era riservata all'avvenire, e Cesare non faceva altro che gettare le fondamenta per l'edificio dei secoli venturi. Ma delle linee che il grande uomo ha tracciato in questo campo, parecchie sono giunte fino a noi ed è più consolante il seguirlo su questo terreno che là dove edifica sulle rovine della nazionalità.
Riguardo alla costituzione ed al governo abbiamo già altrove rivelati i momenti più notevoli della nuova unità: il passaggio della sovranità del consiglio comunale romano al monarca dello stato mediterraneo, la trasformazione di questo consiglio comunale in un supremo consiglio di stato, rappresentante tanto l'Italia quanto le province, e anzitutto l'applicazione dell'ordinamento comunale romano, ed in generale italico, ai comuni provinciali.
Questa misura, cioè la concessione del diritto latino, e poi quella del diritto romano ai comuni maturi per la completa ammissione nello stato unitario, fece sorgere a poco a poco, spontaneamente, uniformi ordinamenti comunali. In una cosa sola non si poteva più oltre indugiare. Il nuovo stato abbisognava urgentemente di una istituzione che rendesse al governo evidenti le principali basi dell'amministrazione, le condizioni della popolazione e del patrimonio dei singoli comuni, cioè di un censimento su nuove basi.
Dapprima fu riformato quello italico. Fino allora, cosa incredibile, lo si era sempre fatto esclusivamente nella capitale con molestia dei cittadini e danno degli affari. Secondo il decreto di Cesare[33], che metteva naturalmente in esecuzione, almeno in principio, solo gli ordinamenti fatti in seguito alla guerra contro i federati, si doveva in avvenire, quando aveva luogo il censimento nel comune romano, registrare contemporaneamente, in ogni comune italico, dalla suprema autorità del comune, il nome di ciascun cittadino e quello del padre o del suo patrono, il suo distretto, la sua età, le sue sostanze, e queste liste dovevano essere consegnate al tesoriere romano abbastanza presto, onde questi potesse in tempo debito completare l'anagrafe generale dei cittadini romani e delle sostanze romane.
Che fosse intenzione di Cesare introdurre simili istituzioni anche nelle province, lo prova in parte la misurazione e il catasto di tutto lo stato da lui ordinato, in parte l'istituzione stessa, poichè con ciò fu trovata la formula generale per stabilire tanto nei comuni italici, quanto nei non italici dello stato, le entrate necessarie per il governo centrale.
Era manifesta anche in ciò l'intenzione di Cesare di ritornare alle tradizioni degli antichi tempi repubblicani e di introdurre di nuovo il censimento dello stato, che l'antica repubblica aveva effettuato, essenzialmente, nello stesso modo come Cesare quello italico, in tutti i comuni d'Italia e di Sicilia, con analoga estensione della istituzione della censura urbana, coi suoi termini e colle altre norme essenziali.
Era stata questa una delle prime istituzioni, che la sfibrata aristocrazia lasciò andare in decadenza, e, insieme ad essa, il supremo governo lasciò andare perduta ogni indicazione sulle forze disponibili delle milizie e delle finanze e quindi ogni possibilità di un efficace controllo. Le tracce esistenti, lo stesso nesso delle cose, provano incontestabilmente che Cesare preparava la rinnovazione del censimento dello stato, scomparso da molti secoli.