15. I confederati.
Avendo Gracco condotta a termine la parte essenziale della nuova costituzione da lui ideata, si accinse ad altra e più difficile opera.
La questione riguardante i confederati italici pendeva ancora indecisa. Abbiamo veduto che cosa ne pensassero i capi del partito democratico; essi desideravano naturalmente di dare alla cittadinanza romana la massima estensione non solo per compiere le distribuzione dei beni demaniali occupati dai Latini, ma anzitutto per rafforzare collo stragrande numero dei neo-cittadini la loro clientela, per estendere sempre più il loro potere sulle adunanze comiziali col mezzo di un numero ognora crescente di elettori e in generale per togliere di mezzo una differenza, che colla caduta della costituzione repubblicana perdeva senz'altro ogni serio significato.
Ma qui trovarono essi un ostacolo nel proprio partito e specialmente in quella turba che d'ordinario dava volenterosa il suo «sì» sovrano a quel che comprendeva e a quel che non comprendeva, e ciò per il semplice motivo che questa gente, ritenendo la cittadinanza romana un titolo che direttamente o indirettamente le dava diritto a ogni sorta di reali vantaggi, non aveva la menoma voglia di aumentare il numero dei compartecipanti.
La reiezione della legge fulvia nell'anno 629 = 125 e la sollevazione dei Fregellani, che ne fu la conseguenza, erano segni che ammonivano sia dell'ostinato proposito della frazione dei cittadini dominante nei comizi, sia dell'impaziente ressa dei confederati.
Verso la fine del suo secondo tribunato (632 = 122), spinto probabilmente da impegni assunti verso i confederati, Gracco ricorse ad un altro tentativo: d'accordo con Marco Flacco, il quale, benchè consolare, per fargli adottare la legge invano da lui prima proposta aveva accettato di nuovo il tribunato del popolo, Caio propose di concedere ai Latini la piena cittadinanza e agli altri confederati italici il diritto che avevano avuto fino allora i Latini.
Ma la proposta urtò nella compatta opposizione del senato e della plebe della capitale; quale fosse e con che armi si difendesse questa coalizione lo spiega abbastanza un frammento del discorso tenuto contro la proposta dal console Caio Fannio dinanzi ai cittadini. «Credete voi – disse l'ottimate – che concedendo ai Latini la cittadinanza, troverete in avvenire posto nelle adunanze cittadine o nei giuochi e nelle feste popolari come state ora dinanzi a me? Non credete piuttosto che questa gente occuperà ogni luogo?»
Un simile oratore sarebbe stato fischiato dai cittadini del quinto secolo, che in un sol giorno avevano concessa la cittadinanza a tutti i Sabini; quelli del settimo secolo trovarono queste osservazioni oltremodo persuadenti e troppo tenue il prezzo loro proposto da Gracco per l'assegnazione di beni demaniali latini.
La misura, che al senato riuscì di prendere, di far uscire dalla città tutti i non cittadini la vigilia del giorno decisivo della votazione, mostrava a sufficienza quale dovesse essere la sorte della proposta. Quando, prima della votazione, prese a parlare contro la legge Livio Druso, collega di Gracco, il popolo accolse questo voto in modo tale che Gracco non ebbe il coraggio di combatterlo e ancor meno di preparare poi a Druso la sorte toccata a Marco Ottavio.