18. Condizioni esterne.
Erano queste le condizioni interne della nazione celtica. Resta ancora da esaminare le sue relazioni coi vicini, e quale parte essi assumessero in questo momento nella grande gara e nella lotta delle nazioni in cui il conservare si dimostra dappertutto ancor più difficile che l'acquistare.
Le condizioni dei popoli stabiliti ai piedi dei Pirenei erano state da lungo tempo ordinate pacificamente ed erano di molto passati i tempi, in cui i Celti vi opprimevano la primitiva popolazione iberica, cioè basca, e in parte ne la scacciavano.
Le valli dei Pirenei e le montagne del Bearnese e della Guascogna, come pure le steppe litorali a mezzodì della Garonna si trovavano ai tempi di Cesare in potere incontestato degli Aquitani, un gruppo importante di piccole popolazioni di origine iberica con pochi rapporti fra di loro e meno ancora con l'estero; la sola foce della Garonna con l'importante porto di Burdigala (Bordeaux) si trovava in possesso di una tribù attiva, quella dei Biturigi-Vivischi.
Di molto maggiore importanza erano i rapporti della nazione celtica col popolo romano e coi Germani. Noi non ripeteremo qui ciò che fu già prima narrato come cioè i Romani avanzando lentamente avessero respinto a poco a poco i Celti, e si fossero finalmente impossessati anche del litorale fra le Alpi ed i Pirenei, e come in tal modo li avessero esclusi interamente dall'Italia, dalla Spagna e dal Mediterraneo, catastrofe che era stata preparata alcuni secoli prima con la costruzione di una fortezza ellenica alla foce del Rodano; ma dobbiamo qui ricordare che non la sola superiorità delle armi romane opprimeva i Celti, ma lo faceva almeno altrettanto la superiorità della civiltà romana, avvantaggiata anche dagli importanti principî della civiltà ellenica, esistente nel paese dei Celti.
Anche qui, come tante altre volte, il commercio e il contatto spianarono la via alle conquiste. Il Celta, come è costume dei settentrionali, amava le bevande spiritose; che egli bevesse come gli Sciti vino squisito e non mescolato con acqua e ne bevesse fino all'ubriachezza, destava la meraviglia e la nausea del sobrio abitatore del mezzodì; ma il commerciante tratta volontieri con simili avventori.
Non andò molto che il commercio del vino col paese celtico divenne una miniera d'oro per il commerciante italico; non fu raro il caso che il Celto barattasse uno schiavo con un boccale di vino. Anche altri articoli di lusso, ad esempio i cavalli italici, si vendevano con vantaggio nel paese celtico. E già si verificava persino il caso che cittadini romani acquistassero dei feudi oltre i confini romani e li coltivassero secondo il sistema italico; così si parla di tenute romane nel cantone dei Segusiavi (presso Lione) verso il 673 = 81.
Senza dubbio fu una conseguenza di ciò il fatto che, come abbiam già notato, persino nella Gallia libera, per esempio presso gli Alvergnati, la lingua romana, già prima della conquista, non era ignorata, benchè pochi probabilmente fossero quelli che la conoscessero e anche cogli uomini più distinti del distretto alleato degli Edui si dovesse parlare col mezzo degli interpreti.
Appunto come i negozianti di acquavite e gli Squatters iniziarono l'occupazione dell'America settentrionale, così questi mercanti di vino e questi possidenti romani furono i precursori del futuro conquistatore della Gallia. Quanto vivamente ciò fosse sentito anche dalla parte opposta, lo prova il divieto emanato da una delle più importanti tribù del paese celtico, quella dei Nervi – come pure da singole popolazioni germaniche – di trafficare coi Romani.