15. Condizioni marittime.
Prima di esaminare l'ordinamento politico, col quale da Roma veniva governata l'Italia così unita, ci rimangono da considerare le condizione marittime nel quarto e nel quinto secolo.
In quell'età due erano, in sostanza, le città che si disputavano la signoria del mare d'occidente: Siracusa e Cartagine. Ma quest'ultima, malgrado i successi favorevoli che per qualche tempo avevano ottenuto sul mare Dionigi (dal 348 al 369 = 406 al 385), Agatocle (dal 437 al 465 = 317 al 289) e Pirro (dal 476 al 478 = 278 al 276), veniva acquistando sempre maggiore prevalenza sulla rivale, che rapidamente declinava, fino a non aver più che una marineria di second'ordine.
In quanto all'Etruria, la sua importanza marittima era finita del tutto; la Corsica, rimasta per lungo tempo sotto la dominazione etrusca, venne, se non in possesso dei Cartaginesi, certo sotto la loro signoria marittima. Taranto, che per qualche tempo si era pure sostenuta, dopo l'occupazione dei Romani non diede più segni di vita. I valorosi Massalioti durarono bensì padroni del proprio mare, ma non presero una parte diretta negli avvenimenti che mutavano le sorti d'Italia.
Delle altre città marittime non si faceva quasi alcun conto.
A questa superiorità di Cartagine non potè sottrarsi nemmeno Roma, che vedeva anch'essa nei suoi mari dominare navi straniere.
Nei suoi antichissimi primordi Roma era stata certamente una città marinara; nè mai fu così dimentica delle sue tradizioni, nè sì incauta, anche nel colmo della sua fortuna, da trascurare la marineria da guerra e non pensare che alle forze terrestri.
Nelle selve latine crescevano alberi adattissimi alle costruzioni navali e migliori di quelli tanto celebrati dell'Italia meridionale, e i cantieri di Roma, sempre in gran faccende, bastano a provare come il senato non avesse mai smesso il pensiero di dotare Roma di una flotta. Ma per tutto il tempo che durarono le guerre, che diremmo domestiche ed intestine, per la cacciata dei re, o per le gelosie della federazione latina, i Romani non avevano agio di guardare troppo al mare, e peggio fu durante le guerre infelicemente combattute contro gli Etruschi e i Celti. Volte le cose in meglio, Roma pensò di assicurarsi tutt'intorno il paese italico e quindi non si curò di conservare e di accrescere il proprio naviglio. Fino alla fine del quarto secolo, si trova appena qualche ricordo di navi da guerra romane, come per esempio quello della nave che portò a Delfo il dono votivo, preso tra le spoglie opime dei Veienti (360 = 394).
I marinai d'Anzio intanto avranno continuato su navi armate i loro commerci, e saranno forse anche usciti a corseggiare, e il «corsaro tirreno» Postumio, preso da Timoleone verso l'anno 415 = 339, ha tutta l'aria d'essere stato un Anziate. Ma non può credersi che gli Anziati fossero considerati tra le potenze marittime di quell'età, e, quando pur lo fossero, considerato lo stato di guerra tra Anzio e Roma, questa marina non va attribuita ai Romani.
Di quanto fosse minima la potenza marittima di Roma intorno all'anno 404 = 350 lo dimostra il saccheggio delle coste latine per opera di una flotta greca, di quei Greci, che, come pare, stazionavano in Sicilia (405 = 349), mentre bande celte, minacciando ferro e fuoco, taglieggiavano il paese latino. L'anno appresso 406 = 348, e certo sotto la immediata influenza di questi gravi inconvenienti, fu conchiuso un trattato di commercio e di navigazione tra il comune di Roma e i Fenici di Cartagine, nel quale trattato l'una e l'altra parte stipulò per sè e per gli alleati e dipendenti. Questo è il più antico documento della storia romana che ci sia pervenuto, benchè il testo che abbiamo sia in greco[6].
I Romani dovettero promettere di non navigare, salvo in casi di necessità, nelle acque del promontorio Hermaeum (Capo Bon) sulla costa libica; essi n'ebbero in cambio la libertà di traffico nella Sicilia cartaginese come se fossero indigeni, e il diritto di vendere le loro merci in Africa e in Sardegna ai prezzi che sarebbero stati stabiliti da pubblici ufficiali e garantiti dalla repubblica cartaginese.
Pare che a Cartagine venisse assicurato commercio libero almeno in Roma e forse anche in tutto il Lazio, sotto condizione di non usar violenza ai comuni latini dipendenti da Roma e di non pernottare sul territorio latino nel caso che divenissero nemici, nè di costruirvi fortezze e di non corseggiare nell'interno del paese[7]. È verosimile che all'istessa epoca, appartenga anche il trattato tra Roma e Taranto, a cui fu accennato, che già nel 472 = 282 si citava come di antica origine; a tenore del quale i Romani si sarebbero obbligati – nè si sa quali compensi i Tarentini offrissero in cambio – di non navigare ad oriente del capo Lacinio, così che venivano completamente esclusi dal bacino orientale del Mediterraneo.
Queste erano vere sconfitte poco meno dannose di quella subìta sull'Allia, e pare che un tal giudizio ne facesse anche il senato romano, poichè nessuna altra cosa mostrò avere più a cuore, appena avviate le cose di Roma in Italia, che di restaurare la marineria, caduta così in basso dopo gli umilianti trattati con Taranto e con Cartagine.
E innanzi tutto si pensò di popolare con colonie romane le più considerevoli città del litorale, come si fece appunto, probabilmente in quegli anni, con Pirgi porto di Cere, e l'anno 416 = 338 con Anzio sulla costa latina, con Terracina l'anno 425 = 328, coll'isola di Ponza nel 441 = 313. E poichè prima di queste erano già state fondate le colonie di Ostia, d'Ardea e di Circei, così con queste ultime disposizioni tutte le terre ragguardevoli poste sul mare del Lazio divennero colonie latine o cittadine; più lungi sulla costa della Campania e della Lucania, Minturno e Sinuessa nell'anno 459 = 205, Pesto e Cosa nel 481 = 273, e sul litorale Adriatico Sena Gallica e Castronovo verso l'anno 471 = 283, Ariminum l'anno 486 = 268, e ultima l'occupazione di Brundisium subito dopo la fine della guerra pirrica.
Nella maggior parte di queste città, nelle colonie cittadine o marittime[8] i giovani erano dispensati dal servizio delle legioni, come quelli che erano destinati soltanto a guardia delle coste marine. Nel tempo stesso i privilegi ben ponderati, con cui si gratificavano i Greci della bassa Italia in confronto dei loro vicini sabellici, e specialmente i favori accordati alle più importanti comunità, come a Neapoli, a Reggio, a Locri, a Turio, ad Eraclea, e l'eguale esenzione dalla leva per l'esercito di terra, concessa alle condizioni esposte, formavano il compimento della rete che i Romani tesero e assicurarono tutt'intorno ai lidi d'Italia.