15. Sconfitta presso Arausio.
Essi giunsero nell'anno 649 = 105, condotti dal loro re Boiorice, fermamente decisi d'invadere l'Italia.
Contro di loro erano alla destra del Rodano il proconsole Cepione, alla sinistra il console Gneo Manlio Massimo e al disotto di questi, alla testa di un corpo isolato, il suo legato, il consolare Marco Aurelio Scauro.
Questi fu il primo a venire alle mani, fu sconfitto completamente, e fatto prigioniero venne condotto nel quartier generale nemico dove il re dei Cimbri, sdegnato della fiera ammonizione del prigioniero romano di guardarsi bene dal porre piede in Italia col suo esercito, lo uccise.
Massimo ordinò al collega di condurre il suo esercito oltre il Rodano; questi, obbedendo a malincuore, finalmente arrivò sulla sinistra del fiume presso Arausio (Orange), dove allora si trovarono riunite tutte le forze romane di fronte all'esercito dei Cimbri. Ai Cimbri le forze romane, per il gran numero, apparvero così formidabili, che cominciarono a parlare di accordi.
Ma i due generali romani erano tra loro apertamente nemici. Massimo uomo oscuro e da poco, era, quale console, superiore in grado al suo collega proconsole Cepione, superbo dei suoi più alti natali, ma di costumi non migliori; questi rifiutava di accamparsi con Massimo e di consultarsi con lui sulle operazioni da farsi, e persisteva nella sua indipendenza.
Invano ambasciatori del senato romano provarono a riconciliarli; anche un convegno promosso dagli ufficiali non servì ad altro che a rendere più grande la distanza che li separava.
Quando Cepione si accorse che Massimo trattava con gli ambasciatori dei Cimbri, credette che meditasse d'aver soltanto lui l'onore della sottomissione e con l'esercito che aveva si gettò subito sul nemico. Fu così completamente sconfitto che anche il suo campo venne in mano dei nemici (6 ottobre 649 = 105), e la sua sconfitta trasse con sè quella del secondo esercito romano.
Si crede che 80.000 soldati romani perissero, e metà di questo numero forse cadde tra la massa enorme e indifesa dell'inutile convoglio – solo dieci uomini si sarebbero salvati – ma quel che è certo che solo pochissimi uomini dei due eserciti riuscì a porsi in salvo, avendo i Romani combattuto col fiume alle spalle.
Fu questa una catastrofe che materialmente e moralmente superò di molto la battaglia di Canne, mentre le sconfitte toccate a Carbone, a Silano, a Longino, erano passate senza lasciare durevole impressione sugli Italici.
Erano usi i Romani a vedere incominciata ogni guerra con avversa fortuna; la invincibilità delle armi romane era tanto conosciuta che pareva superfluo por mente alle eccezioni che pure erano numerose.
Ma il combattimento presso Arausio, la vicinanza in cui il vincitore esercito nemico si trovava agli sguarniti passi delle Alpi, l'insurrezione scoppiata di nuovo e più violenta nel paese romano transalpino ed anche nella Lusitania, lo stato inerme dell'Italia, scossero formidabilmente i Romani da quei sogni.
Si ravvivò nella loro mente la memoria non mai assopita interamente delle procelle suscitate nel quarto secolo dai Celti; della battaglia sulle rive dell'Allia e dell'incendio di Roma; raddoppiato dagli antichi ricordi e dalla più recente angoscia, per tutta l'Italia si sparse lo spavento dei Galli; pareva che tutto l'occidente si avvedesse che il dominio dei Romani cominciava a vacillare.
Come dopo la giornata di Canne, fu ridotta con senatoconsulto la durata del vestire a lutto[14].
I nuovi arruolamenti svelarono la più dolorosa diminuzione della popolazione. Tutti gli Italici atti alle armi dovettero giurare di non lasciare l'Italia; ai capitani delle navi, che si trovavano nei porti italici, fu ingiunto di non ricevere a bordo nessun uomo soggetto a coscrizione.
Non parleremo di ciò che avrebbe potuto accadere se i Cimbri subito dopo la loro duplice vittoria, passate le Alpi, fossero calati in Italia. Però intanto invasero il territorio degli Alverniati, che a fatica si difendevano dai loro nemici nelle fortezze, e poi stanchi degli assedi procedettero oltre, non verso l'Italia, ma verso l'occidente dei Pirenei.