3. Le terre demaniali sotto la restaurazione.
Nulla fu attaccato con tanta prontezza e con tanto successo quanto il più grandioso dei suoi progetti: quello di rendere eguali dinanzi alla legge i cittadini romani e le genti italiche, poi gli italici e le province, talchè, tolta di mezzo la differenza tra dominanti e consumatori, e quella tra dominati e produttori, la questione sociale si sarebbe risolta al tempo stesso colla più estesa e sistematica emigrazione che la storia conosca.
Con tutta l'asprezza e l'uggiosa ostinazione della vecchiaia, la restaurata oligarchia volle imporre ai nuovi tempi la massima delle passate generazioni, che l'Italia dovesse rimanere il paese dominante, e Roma la città dominante in Italia.
Già ai tempi di Gracco i confederati italici erano interamente trascurati e un potentissimo colpo era stato portato al gran progetto dello stabilimento di colonie oltremarine, colpo che fu la principale ragione della caduta di Gracco.
Dopo la sua morte fu dal partito del governo abbandonato il progetto di riedificare Cartagine, benchè le terre già distribuite ai coloni fossero loro lasciate. Però questo partito non potè impedire che la democrazia piantasse in un altro luogo una simile colonia. Sulla linea delle conquiste, che Marco Flacco aveva cominciato al di là delle Alpi, fu fondata nell'anno 636 = 118 la colonia di Narbo (Narbona), il più antico comune cittadino d'oltremare nello stato romano, il quale, protetto forse dai vicendevoli interessi mercantili, ebbe durevole esistenza, malgrado le molte vessazioni del partito del governo e la proposta fatta dal senato di sopprimerlo addirittura.
Ma all'infuori di questo unico e notevole caso, il governo giunse ad impedire in generale l'assegnazione di terre fuori d'Italia.
Nel medesimo senso fu composta la questione dei beni demaniali. Le colonie italiche di Caio, e soprattutto Capua, furono soppresse, e sciolte di nuovo quelle già interamente ordinate; sola rimase quella di Taranto, ma a patto che la nuova città di Nettunia si unisse all'esistente comune greco.
Le terre demaniali già distribuite per assegnazione non coloniale rimasero proprietà di coloro a cui erano state distribuite; le restrizioni imposte da Gracco nell'interesse della repubblica, i livelli e il divieto di alienazione erano già stati aboliti da Marco Druso.
Viceversa si era deciso di rivendicare definitivamente agli attuali possessori e di togliere ogni possibilità che coll'andare del tempo fossero suddivisi, i beni demaniali posseduti in forza del diritto di occupazione; i quali, oltre le terre demaniali sfruttate dei Latini, saranno consistiti per la massima parte nelle terre rimaste ai possessori quale maximum fissato da Gracco.
Queste, veramente, sarebbero state prima di tutto le terre, con le quali avrebbero dovuto formarsi le 36 000 nuove tenute rurali, promesse da Druso; ma non si volle indagare dove mai sotto la volta del cielo potessero trovarsi queste centinaia di migliaia di iugeri di terre italiche demaniali, e si pose quindi tacitamente da parte la legge sulle colonie dopo che ebbe reso il suo servizio; la sola insignificante colonia di Scylaceum (Squillace) può vantarsi di risalire alla legge coloniale di Druso.
Ma per ordine del senato fu dal tribuno del popolo Spurio Torio fatta passare una legge, che soppresse nel 635 = 119 l'ufficio per la divisione delle terre demaniali, ed ai possessori delle medesime fu imposto un canone determinato, il cui prodotto, come pare, riusciva a profitto della plebe della capitale. Ed essendo la distribuzione del grano in parte dovuta a questo provento, altre più ardite proposte, forse un accrescimento delle razioni di grano, furono fatte, ma respinte dall'assennato tribuno del popolo Caio Mario.
Otto anni dopo (643 = 111) fu fatto l'ultimo passo convertendo, con un nuovo plebiscito[1] le terre demaniali occupate in proprietà private e libere da ogni aggravio. Si aggiunse che in avvenire non dovesse più procedersi ad occupazioni di terre demaniali, ma che si dovessero appaltare o che servissero di pascolo comune; per quest'ultimo caso fu stabilito che nessuno vi potesse condurre più di dieci capi di grosso bestiame, e cinquanta di bestiame minuto, provvedendo così affinchè il possidente di grandi greggi non ne escludesse di fatto il piccolo; disposizioni assennatissime, onde si riconobbe, benchè tardi, ufficialmente il sistema di occupazione, da lungo tempo abbandonato; ma purtroppo tali disposizioni furono prese allora soltanto, quando questo sistema aveva già fatto subire allo stato la perdita di tutti i suoi possedimenti demaniali.
Mentre l'aristocrazia romana si preoccupava così dei propri interessi, e faceva mutare in proprietà le terre occupate che ancora possedeva, essa acquietava nel tempo stesso i confederati italici, non già concedendo loro in proprietà le terre demaniali latine, ch'essi e specialmente gli aristocratici dei loro municipi sfruttavano, ma conservando intatto il diritto alle medesime, diritto convalidato dai loro privilegi.
Il partito d'opposizione era in cattive condizioni, poichè gli interessi degli Italici nelle questioni economiche più importanti si trovavano in diretto antagonismo con quelli dell'opposizione della capitale, talchè gli Italici, contratta una specie di lega col governo romano, ricorrevano al senato, e non infruttuosamente, contro gli smodati intenti di parecchi demagoghi romani.