17. Per evitare uno stato militare.
Tuttavia se è discutibile che Cesare non possa venir considerato come conquistatore del mondo, nel senso che lo furono Alessandro e Napoleone, è certissimo che egli pensò sulle prime di appoggiare la sua nuova monarchia sulla forza delle armi, ma non aveva però l'intenzione di sovrapporre il potere militare al civile, bensì di innestarlo nel governo civile e per quanto fosse possibile di assoggettarvelo.
Gli apprezzabili sostegni di uno stato militare, le antiche famose legioni galliche, furono onorevolmente sciolte appunto per il loro spirito di corpo incompatibile con un governo civile, ed i loro gloriosi nomi si perpetuarono nei comuni urbani di nuova costituzione.
I soldati ricompensati da Cesare con terreni, nell'atto del loro congedo non furono tenuti uniti quasi militarmente come quelli di Silla in apposite colonie, ma, specialmente quelli stabiliti in Italia, vennero separati e dispersi per tutta la penisola; soltanto non fu possibile impedire che i veterani di Cesare non si ritrovassero in massa sui terreni della Campania rimasti ancora disponibili.
Cesare affrontò il difficile compito di tenere i soldati di un esercito permanente entro i limiti della vita cittadina, sia colla conservazione della massima fino allora in vigore prescrivente solo un dato numero di anni di servizio e non un servizio permanente, cioè non interrotto da nessun congedo, sia con la già accennata limitazione della coscrizione per cui avveniva un cambio più frequente del personale chiamato sotto le armi, sia con la regolare trasformazione dei soldati congedati in coloni agricoli, sia, e particolarmente, tenendo lontano l'esercito dall'Italia ed in generale dai vari centri della vita cittadina e politica della nazione, e destinando i soldati là dove, secondo l'opinione del grande monarca, era il loro posto, cioè alle stazioni di confine a difesa del nemico esterno.
In ogni caso non si trova presso Cesare il vero criterio dello stato militare, lo sviluppo ed i privilegi di una guardia del corpo. Sebbene nell'esercito attivo esistesse già da lungo tempo l'istituzione di una particolare guardia del corpo del generale, nell'organizzazione militare di Cesare essa entra assolutamente in ultima linea; sembra che la sua coorte pretoriana si componesse solo d'ufficiali d'ordinanza o di persone senza rango militare, e che non sia stata mai un corpo scelto propriamente detto, quindi nemmeno oggetto della gelosia delle truppe di linea.
Se Cesare, già come generale abolì effettivamente la guardia del corpo, meno ancora come re tollerò una guardia intorno alla sua persona.
Benchè fosse costantemente e scientemente attorniato da assassini, egli respinse tuttavia la proposta del senato della creazione di una guardia nobile; congedò, appena le cose si calmarono alquanto, la scorta spagnola, della quale si era servito nei primi tempi nella capitale, e si contentò del seguito dei littori com'era uso per i magistrati romani.
Per quanto Cesare nella lotta con la realtà avesse dovuto scostarsi dal pensiero del suo partito, che era pure quello della sua gioventù, di fondare in Roma un governo come quello di Pericle, non forte delle armi, ma forte della fiducia della nazione, egli si attenne anche fermamente, con un'energia di cui la storia non ci offre altro esempio, al pensiero fondamentale di non fondare una monarchia militare.
È vero che anche questo era un ideale irrealizzabile, ma era la sola illusione nella quale l'ardente desiderio riusciva, in questo forte ingegno, più potente della chiara ragione. Un governo come l'intendeva Cesare non solo era per natura assolutamente personale e doveva, colla morte del suo creatore, andare in rovina, come con la morte dei loro autori caddero le affini creazioni di Pericle e di Cromwell, ma pensando alle sconvoltissime condizioni della nazione non era nemmeno credibile che l'ottavo re di Roma, anche soltanto durante la sua vita, riuscirebbe a dominare, come i suoi sette predecessori, sui cittadini solo in forza della legge e del diritto, ed era altrettanto poco probabile che gli riuscirebbe di introdurre come un nuovo membro utile nell'ordine cittadino l'esercito permanente dopo che questo nell'ultima guerra civile aveva imparato a conoscere la sua potenza e perduto ogni ritegno.
Colui che rifletteva freddamente fino a qual punto il timore della legge era scomparso, tanto nelle più basse quanto nelle più alle classi della società, deve aver ritenuto piuttosto un sogno la primitiva speranza; e se, colla riforma dell'esercito fatta da Mario, il soldato in generale aveva cessato di essere cittadino, l'ammutinamento campano e il campo di battaglia di Tapso mostrarono con funesta evidenza in qual modo allora l'esercito prestava il suo braccio alla legge.
Persino lo stesso grande democratico non poteva che a fatica e scarsamente riannodare le forze che egli aveva scatenate; migliaia di spade si sfoderavano ancora ad un suo segno, ma ad un suo segno non si ringuainavano ormai più. La fatalità è più potente del genio. Cesare voleva diventare il riformatore del governo civile, e fu il fondatore della monarchia militare da lui aborrita; egli liberò lo stato dagli aristocratici e dai banchieri, solo per porre al loro posto il governo militare e la repubblica rimase, come fino allora, tiranneggiata e sfruttata da una minoranza privilegiata.
Ma l'errore in tale creazione è però un privilegio delle più sublimi nature. I tentativi geniali di uomini grandi di realizzare l'ideale, per quanto non raggiungano il loro scopo, formano il miglior tesoro della nazione. È opera di Cesare se la monarchia militare romana divenne solo dopo parecchi secoli un governo di polizia e se gli imperatori romani, per quanto poco rassomigliassero al grande fondatore della loro signoria, non impiegarono il soldato contro il cittadino ma contro il nemico, e se apprezzarono la nazione e l'esercito troppo altamente per non far che questo diventasse l'aguzzino di quella.