3. Sistema militare dei Romani e dei Parti.
Il duce romano si accorse troppo tardi della rete in cui s'era lasciato prendere. Con colpo d'occhio sicuro il visir aveva preveduto il pericolo che lo minacciava, e pensato ai mezzi di stornarlo. Egli comprese che la fanteria orientale non avrebbe potuto reggere contro le legioni romane: se ne era quindi liberato, e inviando questa massa capitanata dal re Orode stesso verso l'Armenia perchè inservibile in una battaglia campale, impedì che il re Artavasde facesse marciare i 10.000 cavalieri di grave armatura promessi per rinforzare l'esercito di Crasso e dei quali questi aveva grande bisogno.
Invece il visir mise in pratica una tattica assolutamente diversa dalla romana e che nel suo genere era insuperabile.
Il suo esercito si componeva esclusivamente di cavalleria pesante armata di lunghe lance, e uomini e cavalli erano coperti da corazze metalliche a squame o da collari di cuoio e cerchioni simili; la massa delle truppe consisteva in arcieri a cavallo.
Di fronte a queste truppe i Romani, uguali tanto per forza quanto per numero, erano nelle armi assolutamente in svantaggio. Per quanto fosse eccellente la loro fanteria di linea per combattere a breve distanza, tanto da vicino col giavellotto pesante, quanto nella mischia colla daga, essa non poteva però costringere un esercito composto di sola cavalleria ad attaccare battaglia con essa, e quando si veniva al combattimento corpo a corpo le legioni trovavano in questi barbari lancieri coperti di ferro avversari non solo degni di misurarsi con esse ma forse superiori.
L'esercito romano si trovava in svantaggio di fronte a quello dei Parti, strategicamente perchè la cavalleria partica intercettava le comunicazioni, e tatticamente perchè ogni arma di breve portata, se non si deve combattere petto a petto, deve cedere a quella di lunga portata. La formazione in massa su cui si appoggiava l'arte di combattere dei Romani accresceva il pericolo di fronte ad un simile attacco; tanto più folta riusciva la colonna romana, tanto più terribile era senza dubbio il suo urto, ma tanto meno sbagliavano il loro bersaglio le armi di lunga portata.
Nelle condizioni normali, quando si tratta di difendere città, di vincere difficoltà topografiche, questa tattica, ridotta alla sola cavalleria, non potrebbe mai mettersi efficacemente in pratica; ma nel deserto della Mesopotamia, dove l'esercito, quasi come una nave in alto mare, non si imbatteva per molti giorni nè in un ostacolo nè in un punto strategico, questo modo di guerreggiare era irresistibile, appunto perchè le circostanze permettevano di svilupparlo in tutta la sua ampiezza e quindi in tutta la sua forza.
Qui tutto concorreva a far sfigurare i fanti stranieri di fronte ai cavalieri indigeni. Mentre il fante romano, sovraccarico di armi e di effetti, si trascinava a stento sulla sabbia e sulle steppe e soccombeva alla fame e più spesso alla sete su quella via senza sentieri, indicata da sorgenti lontane e difficili a scoprirsi, il cavaliere partico volava come il vento attraverso questo mare di sabbia, abituato com'era sin dall'infanzia a sedere, per non dire a vivere, sul veloce suo destriero o sul suo cammello, e assuefatto da lungo tempo ad alleggerirsi i disagi di questa vita e, occorrendo, a sopportarli.
Qui non cadeva pioggia che valesse a mitigare l'insoffribile calore e ad allentare le corde degli archi e le correggie delle frombole degli imberciatori e dei frombolieri nemici; qui in molti luoghi non si potevano nemmeno scavare nella profonda sabbia i necessari valli ed elevare i ripari del campo.
Difficilmente la fantasia può immaginare una posizione in cui tutti i vantaggi militari sieno da un lato e tutti gli svantaggi dall'altro. Se ci si domandasse come presso i Parti sia sorta questa nuova tattica, la prima che sul proprio suolo si mostrasse superiore a quella dei Romani, noi non potremmo rispondere se non con supposizioni.
I lancieri e gli arcieri a cavallo erano antichissimi in Oriente e formavano già il fiore degli eserciti di Ciro e di Dario; ma queste armi avevano fino allora figurato solo in seconda linea, servendo essenzialmente di surrogato alla fanteria orientale che era assolutamente inservibile. Anche gli eserciti partici non si scostavano in ciò menomamente dagli altri eserciti orientali; se ne contavano di quelli che per cinque sesti si componevano di fanteria. Invece nella campagna di Crasso la cavalleria comparve per la prima volta sola in campo, e quest'arma ebbe perciò un impiego assolutamente nuovo ed un'importanza del tutto diversa.
L'incontestata superiorità della fanteria romana nella mischia sembra avere suggerito, indipendentemente gli uni dagli altri, agli avversari di Roma nelle diverse parti del mondo e al tempo stesso e con eguale successo, di combatterla colla cavalleria e colle armi di lunga portata. Ciò che era riuscito completamente a Cassivellauno nella Britannia, in parte a Vercingetorige nella Gallia, ed era stato già tentato sino ad un certo punto da Mitridate Eupatore, fu ora messo in pratica su più vasta scala e con maggiore perfezione dal visir di Orode.
A questi venne specialmente in aiuto la circostanza che nella cavalleria pesante trovò il mezzo di formare una linea, e nell'arco nazionale, maneggiato con molta maestria in Oriente e specialmente nelle province persiane, trovò un'arma efficace per ferire a distanza; ma più ancora egli trovò nelle condizioni del paese e nel carattere della popolazione la possibilità di dar forma al suo geniale pensiero.
In questa occasione, in cui le armi di corta portata dei Romani ed il loro sistema di ammassamento soggiacquero per la prima volta alle armi di lunga portata ed al sistema di spiegare le truppe in battaglia, cominciò quella rivoluzione militare, che poi con l'introduzione dell'arma da fuoco, ebbe il suo pieno compimento.