4.Livio Andronico.
Nel più antico scrittore romano appare questo sviluppo della grecità quasi in embrione.
Il greco Andronico (prima del 482=272 sin dopo il 547=207), che poi, come cittadino romano, prese il nome di Lucio Livio Andronico[4], era venuto a Roma assai giovane nell'anno 482=272, insieme ad altri prigionieri tarentini, ove passò in proprietà del vincitore di Sena, Marco Livio Salinatore (console 535-247=219-207).
Durante la sua schiavitù fu impiegato ora come attore sul teatro, ora come copista di testi, ora a dar lezioni di lingua latina e di lingua greca ai figli del suo padrone e ad altri fanciulli di agiati signori in casa sua e fuori; egli si distinse in modo che il suo padrone gli donò la libertà; e il governo, che si era servito di lui non raramente, come fece dopo la felice piega della guerra annibalica nell'anno 547=207 dandogli incarico di comporre la cantata pel rendimento di grazie, per un personale riguardo verso di lui assegnò al consorzio dei poeti e dei comici un posto per il loro culto comune nel tempio di Minerva, sull'Aventino.
Il suo merito letterario emerse dal doppio suo impiego.
In qualità di maestro di scuola egli tradusse in latino l'Odissea per servirsene nel suo insegnamento della lingua latina, appunto come si serviva del testo greco per l'insegnamento della lingua greca; e questo, che è il più antico libro scolastico romano, tenne per parecchi secoli il primo posto nell'istruzione.
Come attore non solo scriveva per proprio uso i testi, come gli altri, ma li diffondeva anche, sia leggendoli pubblicamente sia copiandoli.
La cosa più importante ch'egli fece fu di sostituire il dramma greco alla antica poesia scenica, che era essenzialmente lirica.
Nel 514=240, un anno dopo la fine della prima guerra punica, fu rappresentato il primo dramma sulla scena romana.
Questa creazione di un'epopea, d'una tragedia, d'una commedia in lingua romana, e per opera d'un uomo più romano che greco, fu storicamente un avvenimento; ma noi non possiamo portare un giudizio sul pregio artistico di questi lavori. Essi non hanno alcuna pretesa d'originalità e considerati, poi, come una traduzione, sono un barbarismo ch'è tanto più spiacevole, in quanto questa poesia non spiega schiettamente la propria semplicità ma si sforza di imitare pedissequamente l'alta cultura artistica del popolo vicino.
Le grandi deviazioni dall'originale non sono dovute alla libertà dell'interpretazione, ma alla durezza dell'interpretazione; lo stile è ora scipito ora ampolloso, la lingua aspra bizzarra[5].
Non si ha difficoltà a credere, come assicurano gli antichi critici d'arte che, eccetto i lettori obbligati nelle scuole, nessuno abbia letto una seconda volta le poesie di Livio Andronico.
Tuttavia queste opere servirono, sotto vari aspetti, di modello ai successori. Esse furono il punto di partenza della letteratura romana delle traduzioni e naturalizzarono nel Lazio il metro greco.
Se ciò successe soltanto pei drammi, e se Livio nel tradurre l'Odissea conservò il metro nazionale saturnio, conviene evidentemente cercarne la ragione in ciò, che i giambi e i trochei della tragedia e della commedia si imitavano nella lingua latina molto meglio dei dattili greci.
Ma questo periodo iniziale dello sviluppo letterario fu presto sorpassato. Le epopee e i drammi di Livio erano considerati dalla posterità, e certamente con ragione, press'a poco come le statue di Dedalo, che erano di una rigidezza senza mobilità e senza espressione, piuttosto come soggetti archeologici che come opere d'arte.
Ma durante la successiva generazione cominciò tutto ad un tratto a sorgere un'arte lirica, epica e drammatica, appoggiata sulle fondamenta già poste; ed è di grande importanza anche dal lato storico seguire questo sviluppo poetico.