2 Comunanza agraria.
Abbiamo già detto come ne' primi tempi il terreno aratorio venisse lavorato in comune, probabilmente dai singoli consorzi gentilizi, come le rendite fossero divise tra le case appartenenti al consorzio, come la comunanza del territorio e il consorzio gentilizio fossero intimamente connessi, come anche più tardi si verificasse molto spesso in Roma la convivenza dei possidenti e l'amministrazione comune dei beni[1]. Persino la tradizione giuridica dei Romani serba memoria che dal principio la sostanza consisteva in bestiame e nell'usufrutto del suolo, e che il territorio fu solo più tardi suddiviso fra i cittadini in proprietà separate[2].
Miglior testimonianza ce ne fa l'antica formola usata per indicare gli averi come «stato di bestiame» o «stato degli schiavi e del bestiame» (pecunia, familia pecuniaque), e degli averi separati dei figli di casa e degli schiavi, come «pecorella» (peculium); inoltre la più antica forma dell'acquisto di proprietà colla «mancipazione» (mancipatio), ciò che poteva convenire solo per le cose mobili; e soprattutto la più antica misura del territorio proprio (heredium da herus in tedesco Herr, padrone) di due iugeri o giornate prussiane, spazio che non può corrispondere ad una tenuta rurale, ma appena ad un orto[3]. Non può ora dirsi con sicurezza quando e come si divise il suolo aratorio. Solo possiamo dare storicamente per positivo, che la più antica costituzione non ebbe riguardo al domicilio, ma come surrogato badò al consorzio delle famiglie; la costituzione serviana suppone già avvenuta la ripartizione del suolo. Dalla stessa costituzione si desume che la gran massa della proprietà territoriale consisteva in tenute medie, che occupavano e facevano vivere una famiglia, e permettevano l'applicazione dell'aratro e il mantenimento degli animali necessari ad arare. Non fu possibile stabilire con sicurezza quale fosse l'ordinaria superficie di queste tenute intere dei Romani, ma si può, come già si è accennato, ritenere che non fosse minore di venti jugeri[4].