11.Battaglia presso Magnesia.
Nella valle bagnata dall'Ermo, presso Magnesia, a' piedi del Sipilo, non lungi da Smirne, si incontrarono nell'autunno inoltrato del 564=190 le truppe romane colle nemiche.
Le forze di Antioco sommavano a 80.000 uomini, compresi 12.000 cavalieri; i Romani tra Achei, Pergameni e Macedoni, non ne avevano che poco meno della metà, compresi i 5000 veterani volontari, ma essi erano tanto sicuri della vittoria che non vollero nemmeno attendere la guarigione del loro generale rimasto ammalato ad Elea; in vece sua prese il comando Gneo Domizio.
Per poter distendere l'immenso numero delle sue truppe, Antioco ne formò due divisioni. Nella prima erano le numerosissime truppe leggere, i peltasti, gli arcieri, i frombolieri, i cavalieri tiratori dei Misii, dei Daci, e degli Elimei, gli Arabi sui loro dromedari, ed i carri falcati; nella seconda egli mise sulle due ali la cavalleria pesante (i catafratti, specie di corazzieri), accanto ad essa la fanteria gallica e cappadocica, e nel centro la falange armata alla macedone che per la ristrettezza del luogo non potè stendersi e dovette schierarsi su due file, ciascuna dello spessore di 32 uomini.
Nello spazio tra le due linee erano 54 elefanti, distribuiti tra le schiere della falange e la cavalleria pesante.
I Romani non disposero che pochi squadroni sull'ala sinistra perchè già coperta dal fiume; la massa della cavalleria e tutte le truppe armate alla leggera erano collocate sull'ala destra comandata da Eumene; le legioni formavano il centro.
Eumene incominciò la battaglia lanciando i suoi cavalieri tiratori e i frombolieri contro i carri falcati, coll'ordine di mirare ai cavalli; in breve tempo non solo si mise la confusione tra questi, ma con essi furono trascinati anche coloro che cavalcavano i dromedari, ed il disordine andava già propagandosi persino nell'ala sinistra della cavalleria pesante che teneva dietro nella seconda linea.
Eumene si gettò subito con tutta la cavalleria romana, forte di 3000 cavalli, sulla fanteria mercenaria che si trovava nella seconda linea, tra la falange e l'ala sinistra della cavalleria pesante, e, quando questa piegò, fuggirono anche i catafratti, fra i quali si era già propagato il disordine.
La falange che aveva lasciato il passo alle truppe leggere e si disponeva ad attaccare le legioni, fu paralizzata dall'attacco di fianco della cavalleria ed obbligata a sostare e far fronte da ambe le parti, per cui le fu propizia la sua formazione in due file profonde.
Se la cavalleria pesante asiatica fosse stata pronta, la battaglia avrebbe potuto risollevarsi, ma l'ala sinistra era rotta, e la destra, comandata da Antioco in persona, inseguendo il piccolo distaccamento di cavalleria romana che le stava di fronte, aveva raggiunto il campo romano, che con gran fatica potè difendersi da questo attacco. Perciò sul campo di battaglia, nel momento decisivo, mancò la cavalleria.
I Romani si guardarono bene dall'assalire le falangi colle legioni; essi le lanciarono contro i tiratori a cavallo ed i frombolieri, ai quali, data la massa compatta dei nemici, non andò fallito nemmeno un colpo. La falange, tuttavia, si ritirò in buon ordine sino al momento in cui gli elefanti, posti negli intervalli fra la falange e la cavalleria pesante, presi da spavento, ruppero le file.
Allora tutto l'esercito si scompose e si diede ad una fuga disordinata e selvaggia; un tentativo fatto per salvare il campo andò fallito e non fece che aumentare il numero dei morti e dei prigionieri.
Tenendo conto della spaventosa confusione avvenuta durante la battaglia non è inverosimile calcolare a 50.000 uomini le perdite di Antioco; i Romani, le cui legioni non presero parte alla battaglia, acquistarono questa vittoria, che loro valse la terza parte del mondo, colla perdita di 300 fanti e 24 cavalieri. L'Asia minore si sottomise, e così Efeso, da cui l'ammiraglio dovette affrettarsi a mettere in salvo la flotta, nonchè la capitale Sardi.