4.La conquista delle cariche.
Il senato romano, quale consiglio posto a fianco del supremo magistrato della repubblica per di lui libera elezione, non conservava, sin dal principio di quest'epoca, quasi alcun segno dell'originario suo carattere.
La subordinazione delle cariche comunali al senato effettuata dalla rivoluzione del 244=510; la delegazione al censore invece che al console per completare il numero dei senatori; le molte limitazioni e condizioni apposte al diritto del censore di cancellare i senatori dalla lista; finalmente, e soprattutto, la definizione legale del diritto dei già magistrati curuli ad avere seggio e voto in senato, avevano trasformato il senato da un corpo di liberi consiglieri in un collegio governativo quasi indipendente dal supremo magistrato, e che in un certo senso si completava nel proprio seno, poichè le due vie, per le quali vi si arrivava, cioè l'elezione ad una carica curule e la disposizione del censore, si trovavano entrambe virtualmente in potere della stessa autorità governativa.
La borghesia, a dir vero, era in quell'epoca ancor troppo indipendente, e la nobiltà troppo assennata per escludere del tutto i non-nobili dal senato od anche per desiderare di escluderli; ma per la graduazione strettamente aristocratica del senato, e per la recisa distinzione tanto degli antichi magistrati curuli secondo le loro tre categorie di consolare, pretori, edilizi, quanto pei senatori che non erano entrati in senato per avere coperto una carica curule e che perciò erano esclusi dai dibattimenti, i non-nobili, sebbene sedessero in numero ragguardevole, furono ridotti in un posizione insignificante e comparativamente senza influenza, ed il senato divenne, in sostanza, il sostegno della nobiltà.
Un secondo organo della nobiltà, di minore, ma pure di qualche importanza, divenne l'istituzione dei cavalieri. Non avendo la nuova nobiltà ereditaria il potere di arrogarsi l'esclusivo predominio nei comizi, essa doveva in sommo grado desiderare di ottenere almeno una posizione distinta nella rappresentanza interna del comune.
Nell'assemblea per tribù si difettava di ogni mezzo per maneggiare quest'affare; le centurie dei cavalieri, secondo l'ordinamento di Servio, sembravano quasi istituite a tale scopo. Dei milleottocento cavalli che somministrava il comune, seicento erano assegnati all'antica nobiltà, gli altri ai più ricchi plebei[4], e la scelta della cavalleria cittadina era nelle mani dei censori. È ben vero che a questi incombeva l'obbligo di eleggere i cavalieri unicamente per meriti militari, e di costringere nelle rassegne tutti i cavalieri inabili al servizio, sia per l'età, sia per qualunque altra causa, a consegnare il cavallo erariale; ma non era facile impedire che essi facessero più caso della nascita che dell'idoneità, e lasciassero alle persone ragguardevoli assunte in servizio, e particolarmente ai senatori, il loro cavallo anche oltre il tempo stabilito. Così divenne di regola che i senatori votassero nelle diciotto centurie dei cavalieri, e che i posti, che si rendevano vacanti nelle medesime, venissero conferiti di preferenza ai giovani delle famiglie nobili. Il sistema militare, come era ben naturale, se ne risentiva, non tanto per la effettiva inettitudine al servizio di una non piccola parte della cavalleria legionaria, quanto per l'avvenuta soppressione dell'eguaglianza militare, mentre la gioventù del ceto nobile sempre più si toglieva dal servizio della fanteria ed entrava in quello della cavalleria legionaria, formata ormai esclusivamente di nobili.
Da ciò si comprenderà presso a poco perchè i cavalieri, fin dall'epoca della guerra siciliana, si rifiutassero di ubbidire all'ordine del console Gaio Aurelio Cotta di lavorare insieme coi legionari alle trincee (502=252), ed il motivo per cui Catone, nella qualità di supremo duce dell'esercito in Spagna, si vide costretto a dare una seria punizione alla sua cavalleria.
Ma questa trasformazione della cavalleria cittadina in una guardia nobile a cavallo non tornò tanto a danno della repubblica quanto a vantaggio della nobiltà; che nelle diciotto centurie di cavalieri acquistò non solo un diritto distinto, ma anche un diritto d'iniziativa nelle votazioni.
Di carattere affine è la formale separazione dei posti assegnati all'ordine senatorio da quelli occupati dalla moltitudine nelle feste popolari.
Fu Scipione il grande, quello che l'introdusse durante il suo secondo consolato (560=194).
Anche la festa popolare era un'adunanza non dissimile da quella delle centurie convocate per la votazione; e la circostanza, che la prima nulla aveva da decidere, rendeva tanto più significativo l'annunzio ufficiale di questa separazione della classe dei signori da quella dei sudditi.
Questa, innovazione fu molto biasimata, persino dal governo, perchè era odiosa senza essere utile, e dava una manifesta smentita alle sollecitudini della parte più assennata dell'aristocrazia per velare il suo governo privilegiato sotto le forme dell'eguaglianza cittadina.