11. L'aristocrazia si adatta.
Toccava ora all'aristocrazia di far fruttare la sua grossa posta e di condurre la guerra con quella temerità, colla quale essa l'aveva dichiarata. Ma non v'è spettacolo più deplorevole, che quando dei vigliacchi hanno la disgrazia di prendere una coraggiosa risoluzione.
Il senato non aveva preveduto nulla affatto. Pare che a nessuno sia venuto in mente che Cesare potesse pensare a far resistenza e che perfino Pompeo e Crasso si sarebbero stretti con lui di nuovo e con più forti vincoli di prima. Ciò pare incredibile; lo si comprende solo quando si conoscono gli uomini che allora guidavano in senato l'opposizione in favore della costituzione.
Catone era ancora assente[2]; il più influente uomo in senato era in quel momento Marco Bibulo, il campione dell'opposizione passiva, il più ostinato e il più stupido di tutti i consolari.
Si erano tosto impugnate le armi solo per deporle appena il nemico mettesse mano all'elsa; la semplice notizia delle conferenze di Lucca bastò per far rinunciare ad ogni pensiero di seria opposizione e per ricondurre la massa dei paurosi, cioè l'immensa maggioranza del senato, al dovere di sudditi, dal quale si erano scostati in un momento di follia. Non si parlò più del deliberato dibattimento per esaminare la validità delle leggi giulie; le legioni organizzate da Cesare di propria iniziativa furono con un senatoconsulto assunte a spese dello stato; i tentativi di togliere a Cesare nell'ordinamento delle più vicine province consolari le due Gallie, o una di esse, furono respinti dalla maggioranza (fine del maggio 698 = 56). Così il senato fece pubblica ammenda.
Spaventati a morte della propria baldanza i senatori vennero segretamente l'uno dopo l'altro per far pace e per promettere assoluta obbedienza; e nessuno fu più sollecito di Cicerone che si pentiva troppo tardi della propria slealtà, e in quanto al suo prossimo passato si regalava degli epiteti onorifici che erano veramente più incisivi che lusinghieri[3]. Naturalmente gli autocrati si lasciarono piegare; a nessuno fu negato il perdono, giacchè per nessuno valeva la pena che se ne facesse un'eccezione. Per conoscere come ad un tratto dopo la propalazione delle deliberazioni di Lucca si cambiasse il tono dei discorsi nei circoli aristocratici, vale la pena di confrontare gli opuscoli pubblicati da Cicerone poco prima colla palinodia ch'egli fece circolare, per provare in pubblico il suo pentimento ed i suoi buoni propositi[4].