2. I due partiti in Cartagine.
Ma quando ad uno stato più debole sovrasta certa una guerra di sterminio, la cui epoca non sia determinata, gli uomini più avveduti, più risoluti, più generosi, pronti sempre alla lotta inevitabile, che l'accetterebbero nel momento favorevole coprendo la politica difensiva colla strategia offensiva, si vedranno dappertutto paralizzati dalla indolente e vile massa degli speculatori, dei vecchi e degli spensierati, che altro non vogliono che temporeggiare, vivere e morire in pace e allontanare ad ogni costo l'ultima lotta.
Così esistevano anche in Cartagine due partiti, l'uno per la pace, l'altro per la guerra, che, come era naturale, corrispondevano ai due partiti politici già esistenti dei conservatori e dei riformatori.
Quello della pace trovava appoggio nelle autorità governative, nel consiglio degli anziani ed in quello dei cento alla cui testa era Annone, detto il grande. Quello della guerra era sostenuto dai capipopolo e principalmente da Asdrubale, uomo molto rispettato, e dagli ufficiali dell'esercito siciliano, i cui grandi successi sotto la condotta di Amilcare, sebbene fossero riusciti vani, pure avevano tracciato ai patriotti una via che pareva promettere salvezza dall'immenso pericolo. Esistevano già da tempo gravi dissapori tra questi due partiti, allorchè cadde loro addosso la guerra libica.
Abbiamo già narrato come essa incominciasse. Dopo che il partito del governo, a cagione dell'inetto suo regime che aveva rese vane tutte le misure di precauzione degli ufficiali siciliani, ebbe provocata la sedizione, dopo che questa, in conseguenza dell'atroce sistema adottato dal governo, si cambiò in una rivoluzione, e finalmente dopo che per la sua imperizia militare e per quella particolarmente di Annone, duce e corruttore dell'esercito, il paese venne a trovarsi sull'orlo dell'abisso, fu in quell'estremo bisogno dallo stesso governo pregato Amilcare Barca, l'eroe dell'Erkte, di salvarlo dalle conseguenze dei suoi errori e dei suoi delitti. Egli accettò il comando e fu abbastanza generoso di non deporlo nemmeno quando gli fu assegnato Annone come collega; anzi, allorquando l'irritato esercito rimandò Annone, egli ebbe tanto impero sopra di sè da riassumerlo, dietro calda preghiera del governo, e malgrado i suoi nemici ed il collega, riuscì colla sua influenza presso gl'insorti, colla sua destrezza nel modo di trattare i capi delle tribù numidiche e coll'impareggiabile suo genio d'organizzatore e di capitano, a sedare in brevissimo tempo la sollevazione e a ridurre all'obbedienza la ribellata Africa (fine del 517=237).
Il partito patriottico, che si era tenuto in silenzio durante questa guerra, ora parlò più forte. Durante questa catastrofe era venuta alla luce tutta la depravazione e la corruzione della oligarchia dominante, la sua incapacità, la sua politica di parte e la sua simpatia per i Romani.
L'occupazione della Sardegna e il contegno minaccioso che Roma aveva assunto in quell'occasione, chiaramente dimostrarono, anche al più inetto, che la dichiarazione di guerra per parte dei Romani pendeva su Cartagine come la spada di Damocle, e che, per Cartagine, nelle sue attuali condizioni, una guerra doveva necessariamente avere per conseguenza la caduta del dominio fenicio nella Libia.
Certo in Cartagine non saranno stati pochi coloro che, disperando dell'avvenire della patria, avran desiderato di emigrare nelle isole dell'Atlantico; e chi avrebbe osato biasimarli? Ma gli animi nobili sdegnavano di salvare se stessi abbandonando la nazione al naufragio, e le grandi nature hanno il privilegio d'inspirarsi appunto a ciò di cui la moltitudine dispera. Si accettarono le nuove condizioni come furono dettate da Roma; non v'era altro da fare che rassegnarsi, e, accumulando all'antico, l'odio novello, raccogliere e custodire gelosamente quest'ultima risorsa d'una nazione vilipesa. Poscia si procedette ad una riforma politica[1].
Dell'impossibilità di riformare il partito del governo si era ormai convinti più che a sufficenza; che i reggenti non avessero dimenticato nemmeno nell'ultima guerra il loro rancore e che non avessero fatto maggior senno, lo prova l'impudenza confinante con l'ingenuità, con cui intentarono un processo ad Amilcare, quale autore della guerra de' mercenari, avendo egli promesso del denaro ai suoi soldati siciliani senza averne ricevuta l'autorizzazione del governo.
Se il corpo degli ufficiali e dei capipopolo avesse voluto rovesciare questo mal governo, non avrebbe incontrato gravi difficoltà in Cartagine, ma gravissime in Roma, colla quale coloro che reggevano la cosa pubblica in Cartagine erano già in tali rapporti che di poco differivano dal tradimento.
A tutte queste difficoltà deve dunque aggiungersi quella che i mezzi per la salvezza della patria dovevano essere procacciati senza che se ne accorgessero i Romani nè il patrio governo proclive ad essi.
Si lasciò quindi intatta la costituzione, ed i signori che erano al timone dello stato furono lasciati nel pieno godimento dei loro privilegi e dei pubblici averi.