11. Silla in Cappadocia.
Le decisioni erano abbastanza energiche, solo fu male che invece di mandare un esercito si fosse imposto al governatore della Cilicia, Lucio Silla, di intervenire nella Cappadocia col pugno d'uomini che egli vi comandava contro i briganti ed i pirati.
Per fortuna nell'oriente il ricordo dell'antica energia dei Romani faceva il loro interesse meglio che il presente governo, e l'energia e l'abilità del governatore completavano le due virtù che il senato non aveva.
Mitridate si teneva indietro e si limitava ad esortare il gran re Tigrane dell'Armenia, il quale di fronte ai Romani aveva una posizione più libera della sua, di mandare truppe in Cappadocia.
Silla radunò presto i suoi uomini e i contingenti degli alleati asiatici, valicò il Tauro e scacciò dalla Cappadocia il governatore Gordio e le sue truppe ausiliarie armene.
Mitridate cedette su ogni punto; Gordio dovette prendere su di sè la colpa dei disordini della Cappadocia, ed il falso Ariarate sparì. L'elezione del re, che il partito del Ponto aveva invano tentato di convergere su Gordio, cadde sul notabile cappadoce Ariobarzane.
Quando Silla, continuando la sua spedizione, giunse nella regione dell'Eufrate, nelle cui acque per la prima volta si specchiavano le insegne romane, ebbe luogo in questa occasione anche il primo contatto fra Romani e i Parti, i quali in seguito alla tensione che esisteva fra loro e Tigrane si avvicinarono ai Romani.
Dalle due parti parevano sentire che importava assai, in questo primo incontro delle due grandi potenze dell'occidente e dell'oriente, di non cedere minimamente sulla pretesa del dominio del mondo; ma Silla, più ardito dell'ambasciatore parto, prese e mantenne nel convegno il posto d'onore fra il re di Cappadocia e l'inviato dei Parti.
La gloria di Silla fu accresciuta più da questa celebrata conferenza sull'Eufrate che non dalle sue vittorie nell'oriente; l'ambasciatore parto ne pagò più tardi con la testa il fio al suo signore. Tuttavia per il momento questo avvicinamento non ebbe ulteriori conseguenze.
Nicomede, confidando nel favore dei Romani, tralasciò di abbandonare la Paflagonia: i senatoconsulti fatti contro Mitridate vennero più tardi eseguiti, almeno fu da lui concessa la restaurazione dei capi sciti e lo statu quo dell'oriente parve ripristinato (662 = 92).
Così pareva; ma nel fatto poco ci si accorgeva di un serio ritorno al primitivo ordinamento delle cose.
Silla aveva appena abbandonata l'Asia, che il re Tigrane della Magna Armenia piombò sul nuovo re di Cappadocia, Ariobarzane, lo scacciò e insediò al suo posto il pretendente del Ponto, Ariarate.
In Bitinia, dove, dopo la morte del vecchio re Nicomede II (intorno all'anno 663 = 91), il figlio di questi, Nicomede III Filopatore era stato riconosciuto dal popolo e dal senato romano come legittimo re, il più giovane suo fratello, Socrate, sorse come pretendente al trono e si impadronì dello stato.
Era chiaro che il vero autore dei disordini della Cappadocia e della Bitinia non era altri che Mitridate, benchè egli si astenesse da ogni pubblica compartecipazione. Ognuno sapeva che Tigrane agiva solo dietro suo cenno; ma Socrate era entrato nella Bitinia con truppe del Ponto e la vita del re legittimo era minacciata dai sicari di Mitridate. Persino nella Crimea e nelle regioni vicine il re del Ponto non pensava a ritirarsi, anzi portò le sue armi sempre più innanzi.