26. Opposizione del governo.
Le proposte di Sulpicio incontrarono la più decisa opposizione nella maggioranza del senato, che per guadagnar tempo indusse i consoli Lucio Cornelio Silla e Quinto Pompeo Rufo, entrambi avversari dichiarati della demagogia, a ordinare delle straordinarie feste religiose, durante le quali cessavano le adunanze popolari.
Sulpicio rispose con un violento tumulto, nel quale fra gli altri perdette la vita il giovane Quinto Pompeo, figlio dell'uno e genero dell'altro console, e corsero grave pericolo di vita gli stessi due consoli.
Silla si sarebbe salvato solo perchè Mario gli aprì la sua casa. Si dovette cedere; Silla acconsentì di rinunciare alle annunciate feste e le proposte di Sulpicio passarono senza alcun ostacolo. Ma la loro sorte non era con ciò assicurata.
Quantunque nella capitale l'aristocrazia si desse per vinta, vi era allora – e ciò per la prima volta dacchè era cominciata la rivoluzione – un'altra potenza in Italia, che non si doveva trascurare: i due forti e vittoriosi eserciti del proconsole Strabone e del console Silla.
Se anche la posizione politica di Strabone era equivoca, Silla, quantunque avesse momentaneamente ceduto alla forza manifesta, non solo era nel miglior accordo colla maggioranza del senato, ma appena rimandate le feste, si era recato nella Campania per mettersi alla testa del suo esercito.
Atterrire a colpi di randello il console inerme, e colle spade delle legioni l'inerme capitale era infine la stessa cosa; Sulpicio sperava che l'avversario, ora che lo poteva, si opponesse alla forza colla forza, ritornando alla capitale alla testa delle sue legioni per rovesciare il demagogo conservatore e le sue leggi.
Forse s'ingannava. Quanto forse Silla desiderava la guerra contro Mitridate, altrettanto aveva in orrore i trambusti della capitale; colla sua originale indifferenza e noncuranza dei bisogni politici, è assai verosimile che egli non pensasse affatto al colpo di stato che Sulpicio attendeva, e che, se avesse avuta la libera scelta, dopo la presa di Nola, da lui stretta d'assedio, si sarebbe subito imbarcato colle sue truppe per recarsi in Asia.
Tuttavia Sulpicio, per parare il colpo di stato, propose di togliere a Silla il supremo comando mettendosi perciò d'accordo con Mario, il cui nome era abbastanza popolare per rendere gradita alla moltitudine la proposta di conferire a lui il supremo comando nella guerra d'Asia, chè data la sua posizione militare e il suo talento, poteva, nel caso d'una rottura con Silla, diventare un sostegno pel governo.
Non poteva sfuggire a Sulpicio il pericolo cui andava incontro ponendo alla testa dell'esercito campano un vecchio non meno inetto che vendicativo e ambizioso, e l'enormità di affidare ad un privato uno straordinario comando supremo col mezzo d'un plebiscito; ma appunto la provata incapacità politica di Mario offriva una specie di garanzia ch'egli non avrebbe potuto recar serio danno alla costituzione. Del resto, ciò che più importava, la stessa situazione di Sulpicio, se questi ben comprendeva le intenzioni di Silla, era tanto minacciata, che non conveniva più darsi pensiero di tali riguardi.
È inutile dire che il vecchio eroe era disposto a far buon viso a chiunque volesse servirsi di lui come condottiero, specialmente trattandosi del supremo comando in una guerra d'Asia, cui in cuor suo anelava da molti anni, come forse anelava a pareggiare le partite colla maggioranza del senato.
Caio Mario, su proposta di Sulpicio, fu quindi per plebiscito investito, collo straordinario potere supremo o cosidetto preconsolare, del comando dell'esercito campano e del supremo comando nella guerra contro Mitridate, e, affinchè l'esercito di Silla venisse consegnato a lui, furono inviati due tribuni del popolo nel campo di Nola.