10. Le finanze durante la rivoluzione.
Nulla meglio del modo con cui fu condotto a termine l'acquedotto Marcio, vale a mostrarci quali opere potesse compiere l'erario romano pagando per contanti, senza essere costretto a ricorrere al sistema del credito; la somma necessaria di 180 milioni di sesterzi fu pronta e pagata entro tre anni.
Si può concludere da ciò che nelle casse dello stato fosse raccolto un cospicuo fondo di riserva che già al principio di quest'epoca saliva quasi a sei milioni di talleri e che senza dubbio andava sempre più aumentando.
Dati questi fatti si può con sufficente certezza ritenere che lo stato delle finanze romane fosse in quest'epoca, in generale, abbastanza soddisfacente.
Tuttavia, anche sotto l'aspetto finanziario, conviene osservare che se il governo durante i primi due terzi di questo periodo condusse a termine delle magnifiche e grandiose opere, omise invece altre spese per lo meno altrettanto necessarie.
Quanto provvedesse insufficientemente alle cose di guerra, lo abbiamo già detto; nei paesi di confine, e persino nella valle padana, i barbari predavano impunemente nell'interno, e nell'Asia minore, in Sicilia e in Italia bande di assassini mettevano a soqquadro il paese. Nessuna cura si aveva della flotta; quasi non esistevano più navi da guerra romane, e quelle che si facevano costruire e riparare dalle città vassalle non bastavano non solo per intraprendere una guerra marittima, ma nemmeno per frenare la pirateria.
In Roma stessa buon numero dei più necessari riattamenti furono trascurati e soprattutto, con generale meraviglia, le costruzioni fluviali di cui c'era bisogno.
Tranne l'antichissimo ponticello di legno che dall'isola Tiberina metteva al Gianicolo, la capitale non aveva ancora un ponte sul Tevere.
Ogni anno questo fiume, allagando le vie, abbatteva case e non di rado quartieri interi, senza che si pensasse ad arginarlo solidamente; il porto di Ostia, per sè stesso cattivo, si trascurava sempre più malgrado il continuo grandioso sviluppo del traffico oltremarino.
Un governo che nelle più favorevoli condizioni e in mezzo ad una pace che, tanto all'estero quanto all'interno, durava da quarant'anni, trascurava simili doveri, può facilmente, pur riducendo le imposte, avere un annuo sopravanzo sulle spese e procacciarsi al tempo stesso un notevole fondo di riserva; ma per i suoi risultati solo apparentemente brillanti, simile amministrazione delle finanze non merita lode, ma piuttosto quei rimproveri di trascuratezza, di mancanza d'unità di indirizzo, di malintesa adulazione del popolo, che si dovevano fare al regime senatoriale di questa epoca anche per tutto il resto.
Le condizioni finanziarie si fecero, com'era ben naturale, molto più tristi allorchè incominciò il tramestio della rivoluzione.
Il nuovo carico, pesantissimo anche considerato soltanto dal lato finanziario, che gravava il pubblico erario anzitutto per l'obbligo impostogli da Caio Gracco di distribuire ai cittadini della capitale il frumento a vilissimo prezzo, fu, a dir vero, bilanciato dalle nuove sorgenti di ricchezza trovate in quel tempo nella provincia d'Asia. Ciò nondimeno sembra che da quell'epoca in poi le pubbliche costruzioni non abbiano affatto progredito.
Quanto numerose sono le opere pubbliche, che sappiamo di sicuro essere state eseguite nel periodo che corse dalla battaglia di Pidna sino a Caio Gracco, altrettanto scarse sono quelle dopo il 632 = 122, non potendosene annoverare altre all'infuori dei ponti, delle strade e della bonifica delle paludi ordinati da Marco Emilio Scauro, censore dell'anno 645 = 109.
Noi non sapremmo dire se di ciò fossero causa le distribuzioni di frumento o, più verosimilmente, il nuovo più severo sistema di economia, quale si addiceva ad un governo che si andava sempre più accostando all'oligarchia, e che è provato dal fatto che il fondo di riserva dello stato aveva raggiunto la sua maggior misura l'anno 663 = 91.
L'urto tremendo della insurrezione e della rivoluzione, nonchè la quinquennale mancanza dei dazi dell'Asia minore, furono la prima seria prova alla quale sottostettero le finanze romane dopo la guerra annibalica. Esse non ressero alla prova.
Nulla forse ci mostra con tanta chiarezza la differenza dei tempi quanto il fatto, che nella guerra annibalica il fondo di riserva fu intaccato soltanto nel decimo anno di guerra, quando i cittadini soccombevano quasi sotto il peso della pressione fiscale, mentre nella guerra sociale fin dal principio si fece assegnamento sul fondo di riserva, e quando, dopo le prime due campagne, esso era totalmente esaurito, furono messe piuttosto all'asta le pubbliche aree della capitale e si manomisero i tesori dei templi, anzichè imporre un'imposta sui cittadini.
Ma la procella, per quanto formidabile fosse, passò, con immensi sacrifici economici, imposti particolarmente ai sudditi ed ai rivoluzionari italici; Silla ricondusse l'equilibrio nelle finanze, e assicurò alla repubblica, – sopprimendo la distribuzione del frumento e mantenendo, benchè diminuite, le gabelle nell'Asia minore, – un sufficiente stato economico, almeno nel senso che le spese ordinarie erano inferiori di molto alle entrate ordinarie.