12. Caduta del governo senatorio.
Questa volta Pompeo si scosse, o almeno lasciò che altri si scuotessero per lui.
Nel 687 = 67 furono presentati due progetti di legge, uno dei quali ordinava, oltre il licenziamento dei soldati dell'esercito d'Asia che avevano finito il loro servizio, chiesto già da lungo tempo dalla democrazia, il richiamo del suo supremo duce, Lucio Lucullo, e la sua sostituzione con uno dei consoli del corrente anno, Caio Pisone e Manio Labrione; l'altro riassumeva e ampliava il piano fatto sette anni prima dallo stesso senato per liberare i mari dai pirati.
Un solo generale, scelto dal senato fra i consolari, doveva assumere il comando in capo nel Mediterraneo, dalle Colonne d'Ercole sino ai lidi pontici e siriaci e nelle coste su tutto il litorale sino a dieci leghe nell'interno col concorso dei relativi luogotenenti romani. Tale carica gli era assicurata per tre anni. Egli aveva uno stato maggiore, di cui non si era mai veduto in Roma il simile, composto di venticinque luogotenenti di grado senatorio, tutti investiti di potere pretorio e con le insegne pretorie, e di due tesorieri con facoltà questorie, tutti da nominarsi esclusivamente secondo la volontà del supremo comandante. Il quale era autorizzato a chiamare sotto le armi sino a 120.000 fanti e 5.000 cavalieri e ad adunare una flotta di 500 navi da guerra, potendo disporre a questo scopo, senza restrizione, dei mezzi che offrivano le province e gli stati vassalli; oltre a ciò furono subito messe a sua disposizione le navi da guerra esistenti ed un ragguardevole numero di soldati. Inoltre gli doveva essere aperto un credito illimitato nelle casse dello stato, nella capitale e nelle province, e così pure su quelle dei comuni dipendenti, e, non ostante la imbarazzante penuria in cui versavano le finanze, si doveva subito mettere a sua disposizione una somma di 144 milioni di sesterzi (L. 33.750.000).
È evidente che questi progetti di legge e specialmente quello che si riferisce alla spedizione contro i pirati, rendevano nullo il governo del senato. I supremi magistrati ordinari nominati dai cittadini erano veramente i generali di fatto della repubblica e anche i funzionari straordinari, per poter essere generali, dovevano, almeno secondo lo stretto diritto, ottenere la conferma dal popolo; ma sul conferimento dei singoli comandi i cittadini non avevano costituzionalmente alcuna influenza, e solo dietro proposta del senato o dietro quella d'un funzionario avente il diritto alla carica di generale i comizi si erano sino allora qualche volta immischiati in questi affari ed avevano anche assegnata la speciale competenza.
Da quando esisteva una repubblica romana, in ciò l'ultima parola spettava piuttosto al senato, e questo suo diritto coll'andar del tempo era andato sempre più consolidandosi. La democrazia aveva certamente tentato anch'essa d'ingerirsi in questo affare; ma persino nel più scabroso dei fatti sinora avvenuti, nella trasmissione del comando dell'esercito d'Africa a Caio Mario (647 = 107), non si trattò che d'un funzionario qualificato ai sensi della costituzione a coprire una carica di generale e incaricato da un plebiscito di una speciale spedizione.
Ma ora la borghesia non solo aveva facoltà d'investire un qualsiasi privato, ma anche di assegnargli una competenza da essa proposta.
La scelta, che il senato doveva fare di quest'uomo entro la cerchia dei consolari, non era che una mitigazione nella forma; giacchè la scelta gli era stata lasciata solo pel motivo che essa non era più una scelta, e perchè il senato, di fronte alla moltitudine tempestosamente agitata, non poteva conferire il supremo comando sul mare e sulle coste assolutamente a nessun altro fuorchè a Pompeo.
Ma più pericolosa di questa negazione fondamentale dell'autorità fu l'effettivo annullamento di essa coll'istituzione di una carica di competenza militare e finanziaria quasi illimitata. Mentre la carica di generale si limitava di solito al termine di un anno, ad una determinata provincia, a mezzi militari e finanziari esattamente fissati, a questa nuova carica straordinaria fu preventivamente fissata la durata di un triennio, che naturalmente non escludeva un'ulteriore proroga, a tal carica fu sottomessa la massima parte della provincia e l'Italia stessa, che di solito non dipendeva mai da un'autorità militare, e furono messi a sua disposizione quasi senza restrizione i soldati, le navi, il tesoro dello stato.
A favore del nuovo supremo duce fu persino infranta la su accennata antichissima massima fondamentale del diritto pubblico della repubblica romana, che il supremo potere militare e civile non potesse venir concesso senza il concorso della borghesia: attribuendo la legge preventivamente grado e facoltà pretoria[3] ai 25 aiutanti, che il supremo duce avrebbe nominato, la suprema magistratura di Roma repubblicana sarebbe stata subordinata ad una carica di nuova creazione, il cui conveniente nome si doveva fissare in seguito, e che però in sostanza conteneva in sè stessa sin da allora la monarchia.
Con questo progetto di legge si faceva il primo passo verso un completo capovolgimento dell'ordine fino allora esistito.