15. Opposizione nelle elezioni e nei tribunali.
Ma se gli autocrati disponevano del governo illimitatamente, rimaneva tuttavia un campo politico separato dal governo propriamente detto, più facile a difendersi e più difficile a conquistarsi: quello delle elezioni alle cariche ordinarie e quello dei tribunali dei giurati. Che questi non cadano direttamente sotto la politica ma dappertutto, e anzitutto a Roma, siano dominati dallo spirito che informa il governo, è cosa che si spiega da sè.
Le elezioni dei magistrati appartenevano di diritto al governo propriamente detto, ma siccome lo stato era sostanzialmente amministrato da magistrati straordinari, o da uomini senza alcun titolo e gli stessi supremi magistrati ordinari, quando appartenevano al partito antimonarchico non potevano avere alcuna sensibile influenza sulla macchina dello stato, così i magistrati ordinari andavano sempre più scadendo per divenire semplici comparse, e infatti i maggiori oppositori fra di essi si qualificavano addirittura come altrettante impotenti nullità e designavano quindi le loro elezioni come altrettante dimostrazioni.
In tal modo, respinta completamente l'opposizione dal vero campo di battaglia, la lotta potè continuarsi ancora con le elezioni e con i processi. Gli autocrati non risparmiavano nulla per rimanere vincitori anche in questo campo. Quanto alle elezioni essi avevano già combinato in Lucca, fra di loro, le liste dei candidati per i prossimi anni, e nessun mezzo lasciarono intentato per far passare i candidati designati in quel convegno.
Prima di tutto, essi impiegavano il loro oro per la lotta elettorale. Ogni anno si mandavano in congedo gran numero di soldati degli eserciti di Cesare e di Pompeo, perchè prendessero parte alle votazioni. Cesare soleva dirigere e sorvegliare egli stesso dall'alta Italia il movimento elettorale. Tuttavia lo scopo non fu raggiunto che assai imperfettamente.
Per il 699 = 55, conforme agli accordi presi a Lucca, furono eletti a consoli Pompeo e Crasso, e fu eliminato il solo perseverante candidato dell'opposizione, Lucio Domizio; ma questo si era già ottenuto con la violenza, e nella lotta Catone aveva riportato una ferita ed erano accadute altre scene molto scandalose.
Nelle seguenti elezioni pel 700 = 54 fu eletto Domizio nonostante tutti gli sforzi degli autocrati, e Catone pure la vinse allora come candidato per la pretura, dalla quale l'anno prima con scandalo di tutta la borghesia era stato eliminato da Vatinio, cliente di Cesare. Nelle elezioni pel 701 = 53 l'opposizione riuscì a provare così incontestabilmente i più scandalosi intrighi elettorali di parecchi candidati e degli autocrati, che questi, su cui si ripercuoteva l'onta, non poterono fare altro che abbandonare i loro candidati.
Queste ripetute e gravi sconfitte toccate ai dinasti nel campo elettorale possono in parte attribuirsi all'ingovernabilità dell'arrugginita macchina dello stato, alle incalcolabili eventualità delle operazioni elettorali, ai sentimenti di opposizione della classe media, ai tanti riguardi privati che si inseriscono nella posizione dei partiti, ma la causa principale si deve cercare altrove.
Le elezioni dipendevano essenzialmente dai diversi circoli nei quali si divideva l'aristocrazia; il sistema della corruzione era da essi organizzato su vastissima scala e col massimo ordine. La stessa aristocrazia, rappresentata in senato, dominava anche le elezioni; poichè se in senato cedeva con rancore, nei collegi elettorali operava in segreto e sicura di ogni responsabilità di fronte agli autocrati.
Si comprende, e le elezioni degli anni seguenti lo provarono, che la severa legge penale contro gli intrighi elettorali dei circoli, che Crasso essendo console aveva fatto sanzionare dal popolo nel 699 = 55, non aveva fatto cessare su questo campo l'influenza della nobiltà.
E così non minori difficoltà, cagionavano agli autocrati i tribunali dei giurati. Dato il sistema secondo il quale erano composti, in essi oltre l'influente nobiltà senatoria decideva specialmente la classe media. La fissazione di un alto censo per la nomina a giurato, proposta da Pompeo nel 699 = 55, è una notevole prova che l'opposizione contro gli autocrati aveva la sua sede principale nel vero ceto medio, e che i grossi capitalisti qui, come dappertutto, si mostravano più flessibili di quello. Ciò non pertanto il partito repubblicano non aveva perduto tutto il terreno e non si stancava di perseguitare con accuse criminali e politiche, se non gli autocrati stessi, almeno le più autorevoli loro creature. Questa guerra di processi era condotta con tanto più vigore, in quanto, spettando secondo l'usanza gli atti d'accusa alla gioventù senatoria, fra questa si trovava maggior passione repubblicana, più vigoroso talento e maggior desiderio combattivo, che non fra i loro più attempati colleghi.
I tribunali non erano certo indipendenti; se gli autocrati li prendevano sul serio, i giudici appunto come i senatori, non osavano rifiutare l'obbedienza. Nessuno degli avversari fu dall'opposizione perseguitato con odio così grande e divenuto quasi proverbiale quanto Vatinio, molto più temerario e irriflessivo di tutti i più intimi aderenti di Cesare; ma il suo padrone ordinava ed egli veniva assolto in tutti i processi che gli erano intentati.
Però le accuse lanciate da uomini, che come Caio Licinio Calvo e Caio Asinio Pollione, sapevano brandire la spada della dialettica e la sferza dello scherno, non mancavano di raggiungere la meta anche quando i loro sforzi andavano a vuoto; e si ottennero anche dei singoli successi. Questi veramente si riportavano per lo più sopra individui di una classe subordinata, ma anche uno dei più altolocati e più odiati aderenti dei dinasti, il consolare Gabinio, fu rovesciato in questo modo.
È vero che all'irriconciliabile odio dell'aristocrazia – la quale non gli aveva perdonato la legge per la guerra contro i pirati, e il modo schernevole con cui aveva trattato il senato durante la sua luogotenenza nella Siria – si associava contro Gabinio il furore dei capitalisti, di fronte ai quali egli come luogotenente della Siria aveva osato fare gli interessi dei provinciali, e persino il rancore di Crasso, al quale egli nella consegna della provincia aveva sollevato delle difficoltà.
L'unica sua difesa contro tutti questi nemici fu Pompeo, e questi aveva tutte le ragioni per difendere ad ogni costo il più capace, il più temerario ed il più fedele dei suoi aiutanti; ma, in questo frangente, come in ogni altro, egli non seppe usare della sua autorità e difendere i suoi clienti come Cesare difendeva i propri; alla fine del 700 = 54 i giurati trovarono Gabinio reo di concussioni e lo mandarono in esilio. Sul campo delle elezioni popolari e dei tribunali dei giurati furono in massa gli autocrati quelli che soggiacquero.
Gli agenti che vi dominavano erano meno facili a colpirsi, (e perciò era più difficile spaventarli o corromperli) che non gli ordini immediati del governo e dell'amministrazione. Gli autocrati incontravano in questo campo e specialmente nelle elezioni popolari, la forza tenace dell'oligarchia compatta ed aggruppata nelle consorterie, colla quale non si può dire di averla assolutamente finita quando si è rovesciato il suo governo, e la quale è tanto più difficile a spezzare quanto più copertamente essa opera.
Essi si urtarono inoltre, specialmente nei tribunali dei giurati, nell'avversione delle classi medie pel nuovo governo monarchico, avversione che essi, con tutti gli imbarazzi che ne derivarono, non erano in grado di rimuovere. Ebbero nei due campi una serie di sconfitte. Le vittorie riportate dall'opposizione nelle elezioni non avevano veramente che il valore di dimostrazioni, poichè gli autocrati avevano i mezzi, e se ne servivano, per annichilire di fatto ogni magistrato malveduto; ma le condanne criminali pronunciate contro i loro aderenti dal partito dell'opposizione, li privava in modo sensibile di abili ausiliari.
Stando così le cose gli autocrati non potevano nè sopprimere nè sufficentemente dominare le elezioni popolari e i tribunali dei giurati, e per quanto l'opposizione si trovasse ridotta ai minimi termini, pure seppe sino ad un certo grado tenere il campo di battaglia.