23.Storiografia.
Sino al tempo d'Annibale non vi era in Roma alcuna traccia di storiografia, giacchè la registrazione nel libro degli Annali apparteneva alla categoria delle memorie e non a quella della letteratura, e non si fece mai alcun tentativo di esporre, in modo continuativo e razionale, gli avvenimenti che erano ricordati nella cronaca.
È di grande significazione, per chi voglia farsi una idea del vero e proprio carattere dei Romani, il fatto che, al di là dei confini d'Italia e il continuo contatto dell'alta società romana coi Greci, così esperti in ogni genere di letteratura, il bisogno di portare a conoscenza dei contemporanei e dei posteri, per mezzo di scritti, le gesta e i destini dei cittadini romani, non si facesse sentire prima della metà del sesto secolo.
Ma quando si cominciò a provare questo bisogno, mancava tanto una forma letteraria adatta per esporre la materia storica, quanto un pubblico preparato alla lettura e furono necessari un gran talento e molto tempo per raggiungere tale scopo.
Prima di tutto queste difficoltà furono in certo modo superate verseggiando la storia nazionale in latino, o scrivendola in prosa greca. Abbiamo già ricordato le cronache verseggiate di Nevio (scritte verso l'anno 550=204) e quelle di Ennio (scritte verso l'anno 581=173); esse appartengono alla più antica letteratura storica dei Romani, e quella di Nevio si considera la più antica opera storica romana.
Comparvero quasi nello stesso tempo (circa l'anno 553=201) i libri storici in greco di Quinto Fabio Pittore[33] discendente da nobile famiglia, che prese parte attiva negli affari dello stato durante la guerra annibalica, e quelli del figlio di Scipione Africano, Publio Scipione (morto verso l'anno 590=164).
Nel primo caso si ricorreva al verso, che già era divenuto più duttile, e si cercavano lettori tra un pubblico al quale non mancava il senso poetico; nell'altro caso si trovavano belle e pronte le forme greche, e si mirava, come pareva richiederlo l'interesse del soggetto, a conquistare l'attenzione innanzi tutto delle classi colte e del mondo civile, che si allargava al di là dei confini del Lazio.
Gli scrittori plebei seguirono la prima via, i nobili la seconda, appunto come ai tempi di Federico il Grande accanto alla letteratura nazionale, coltivata dai sacerdoti e dai professori, esisteva una letteratura aristocratica in lingua francese: i Gleim ed i Ramler componevano canzoni di guerra nella lingua nazionale, i re e i generali memorie e trattati in lingua francese.
Le cronache, sia metriche, sia greche, compilate da scrittori romani, non possono però considerarsi come il principio d'una vera storiografia latina, la quale cominciò soltanto con Catone, la cui opera sulle «Origini» non pubblicata prima della fine di quest'epoca, è nello stesso tempo la più antica opera storica latina e la più importante produzione in prosa della letteratura romana[34].
Tutte queste opere non erano certo scritte con spirito greco[35] ma erano però concepite in opposizione allo spirito nazionale degli annali, erano storie prammatiche in cui la narrazione correva continuata e connessa e sopra un piano più o meno regolare.
Per quanto ci consta esse abbracciano la storia nazionale dalla fondazione di Roma sino al tempo dello scrittore, benchè, se si deve credere al titolo, quella di Nevio parlava soltanto della prima guerra con Cartagine, e quella di Catone si limitava alla storia sulle «Origini»; ragione per cui esse furono divise in tre specie, cioè: delle leggende, della storia antica e della storia contemporanea.