17. Vittoria di Cabira.
Ma il luogotenente di Lucullo, Marco Fabio Adriano, che scortava uno di questi convogli, non solo sconfisse la schiera che lo attendeva in quelle strette, nelle quali essa aveva in animo di sorprenderlo, ma ottenuti dei rinforzi dal campo, battè anche il corpo di Diofante e di Tassile in modo che lo sciolse.
Fu una perdita irreparabile per il re che qui gli fosse distrutta la cavalleria, sulla quale soltanto faceva assegnamento; così, come ebbe ricevuta dai primi fuggitivi dal campo di battaglia di Cabira – i quali, cosa abbastanza notevole, furono gli stessi generali sconfitti – l'infausta notizia, e prima ancora che Lucullo ricevesse quella della vittoria, il re si decise all'immediata ulteriore ritirata.
Ma la notizia di questa decisione del re si sparse con la celerità del lampo fra quelli che gli stavano più vicino; e come i soldati videro che i confidenti del re facevano in fretta i loro bagagli, furono presi anch'essi da timor panico. Nessuno voleva essere l'ultimo a partire; superiori ed inferiori fuggivano come fiere spaventate; non si rispettava più alcuna autorità, nemmeno quella del re, e il re stesso era trascinato in quel fiero trambusto.
Accortosi della confusione, Lucullo incominciò l'attacco e le schiere pontiche si lasciarono tagliare a pezzi quasi senza fare resistenza. Se le legioni avessero saputo mantenere la disciplina e moderare la loro avidità di bottino, non un uomo sarebbe loro sfuggito ed avrebbero senza dubbio fatto prigioniero lo stesso re.
A stento Mitridate si salvò con pochi compagni pei monti a Comana (non lungi da Tocat e dalle sorgenti dell'Iri), dove ben presto lo raggiunse una schiera romana comandata da Marco Pompeo che lo inseguì fino a tanto che, accompagnato da solo 2000 cavalieri, passò il confine del suo regno nell'Armenia minore presso Talaura.
Negli stati del gran re egli trovò un asilo, ma nulla di più (fine del 682 = 72). È vero che Tigrane fece rendere onori regali al suocero fuggitivo, ma non lo invitò nemmeno alla sua corte e lo tenne nella lontana provincia di confine, ove si trovava quasi in una onorevole prigionia.
Le truppe romane invasero tutto il Ponto e l'Armenia minore, e il paese piano sino a Trebisonda si sottomise al vincitore senza opporre resistenza. Anche i comandanti delle tesorerie regie si arresero dopo un temporeggiamento più o meno lungo e consegnarono le somme che avevano nelle casse.
Le donne del serraglio regio, le sorelle del re, le molte sue mogli e concubine, dietro suo ordine, poichè non era possibile farle fuggire, furono uccise da uno dei suoi eunuchi in Farnacea.