7. Tendenze sopraffattrici di Pompeo.
Dopo le importanti concessioni che Cesare aveva fatte a Pompeo nel congresso tenutosi in Lucca nell'aprile del 698 = 56, nel quale gli autocrati avevano equilibrati i loro poteri, non mancavano nella loro situazione le condizioni esterne della durata, in quanto possa esservi possibilità di durata in una divisione del potere monarchico per se stesso indivisibile.
Una questione ben diversa era quella di sapere se gli autocrati erano veramente decisi a tenersi uniti ed a considerarsi francamente eguali nel potere. Abbiamo già osservato che, in quanto a Cesare, non vi era alcun dubbio, giacchè egli con le concessioni accordate a Pompeo aveva ottenuta la proroga del tempo necessario alla sottomissione della Gallia.
Ma si può ritenere che Pompeo non abbia mai pensato seriamente alla collegialità. Egli era una di quelle nature leggere e volgari, verso le quali è pericoloso far prova di generosità: nella sua mente meschina egli riguardava certamente come un dovere imposto dalla prudenza di dare alla prima occasione lo sgambetto al rivale riconosciuto a malincuore come uomo di merito, e il suo animo volgare anelava di rendere a Cesare in senso inverso la pariglia dell'umiliazione ricevuta dalla sua condiscendenza.
Però se Pompeo per il suo carattere cupo e indolente non aveva probabilmente mai avuto intenzione di conservar Cesare accanto a sè, l'intenzione di sciogliere la coalizione non si formò in lui che a poco a poco.
Il pubblico, che in generale penetrava le mire e le intenzioni di Pompeo meglio di lui stesso, non si sarà mai in nessun modo ingannato che, per lo meno colla morte della bella Giulia, avvenuta nel fiore della sua età nell'autunno del 700 = 54 e seguìta ben presto da quella dell'unico suo figliuoletto, erano sciolti i rapporti personali tra il di lei padre e il di lei consorte.
Cesare fece il tentativo di riannodare i legami di parentela sciolti dal destino; egli chiese la mano dell'unica figlia di Pompeo e offrì a lui la mano della sua più prossima parente, Ottavia, nipote di sua sorella, ma Pompeo lasciò sua figlia al marito che aveva allora, Fausto Silla, figlio del dittatore, e si ammogliò egli stesso colla figlia di Quinto Metello Scipione.
La rottura personale si era evidentemente verificata e fu Pompeo quello che si rifiutò di porgere la mano. Si riteneva che non dovesse tardare molto a verificarsi la rottura politica; ma la cosa non andò così: negli affari pubblici fu ancora mantenuto provvisoriamente un accordo collegiale. La causa per cui Cesare non voleva rompere pubblicamente questa relazione, era la sottomissione della Gallia, cui dedicava le sue cure e desiderava prima che fosse divenuto un fatto compiuto, e Pompeo non lo voleva fare prima che, coll'assunzione della dittatura, non fossero venute interamente in suo potere l'autorità governativa e l'Italia.
È cosa singolare, ma comprensibile, che in ciò gli autocrati si aiutassero reciprocamente; dopo la catastrofe di Aduatuca, nell'inverno del 700 = 54, Pompeo cedette come prestito a Cesare una delle due legioni italiche congedate; in cambio Cesare dava a Pompeo il suo consenso e gli accordava tutto il suo appoggio morale nelle misure repressive che questi andava prendendo contro la caparbia opposizione repubblicana.