23. Cesare tagliato fuori d'Italia.
L'ulteriore andamento della campagna però non corrispose a questo brillante inizio. Bibulo faceva ora immensi sforzi di bravura per riparare in parte alla trascuratezza di cui si era reso colpevole. Egli catturò non solo trenta navi da trasporto che facevano ritorno alla rada di Paleassa e che fece incendiare con tutto ciò che contenevano, ma dispose anche lungo tutta la costa occupata da Cesare, dall'isola di Sason (Saseno) sino ai porti di Corcira, la più severa vigilanza malgrado la rigidità della stagione e la necessità di provvedere da Corcira a tutti i bisogni delle navi guardiane, compresa l'acqua e la legna; e il suo successore Libone – poichè Bibulo era soggiaciuto ben presto agli insoliti strapazzi – chiuse persino per qualche tempo il porto di Brindisi, sino a che la mancanza d'acqua lo cacciò dall'isoletta posta dinanzi al porto, nella quale si era trincerato.
Agli ufficiali di Cesare non riuscì di condurgli dietro il secondo trasporto del suo esercito. E così Cesare non potè prendere Durazzo. Pompeo era stato informato da uno dei messaggeri di pace di Cesare dei suoi preparativi per la spedizione verso il litorale dell'Epiro, in seguito di che, accelerando la sua marcia, arrivò in tempo per gettarsi in questa importante piazza d'armi.
La posizione di Cesare era critica anzi che no. Benchè egli si fosse esteso nell'Epiro quanto le sue scarse forze glielo avevano permesso, le provvigioni per il suo esercito erano però difficili ed incerte, mentre i nemici, in possesso dei magazzini di Durazzo e padroni del mare, avevano tutto in abbondanza. Col suo esercito, probabilmente inferiore a 20.000 uomini, egli non poteva avventurarsi ad offrire battaglia a quello di Pompeo, di forza per lo meno doppia del suo, ma doveva stimarsi fortunato che Pompeo procedesse metodicamente, e che, invece di costringerlo ad accettare subito battaglia, piantasse il campo invernale tra Durazzo e Apollonia sulla sponda destra dell'Apso, di contro a Cesare, che era sulla sinistra, affinchè nella primavera, e dopo l'arrivo delle legioni da Pergamo, potesse attaccare il nemico con una forza maggiore ed irresistibile.
Così passarono dei mesi. Se la migliore stagione, apportatrice al nemico di nuovi contingenti e della libera disposizione della sua flotta, trovava Cesare ancora nella stessa posizione, egli e con lui il suo corpo d'armata ben debole di fronte ad un esercito tre volte più forte e ad una immensa flotta, e confinato in mezzo alle roccie epirote, era, secondo tutte le apparenze, irremissibilmente perduto; e già l'inverno volgeva alla fine.
Tutte le speranze erano ancora riposte sulle navi da trasporto: tanto il passare di soppiatto quanto l'aprirsi colla forza un varco attraverso il blocco, era impresa più che temeraria; ma se la prima temerità fu commessa volontariamente, la seconda fu imposta dalla necessità. Quanto disperata sembrasse a Cesare stesso la sua situazione non vedendo arrivare il naviglio col resto delle sue truppe, lo prova la sua risoluzione di recarsi in persona a Brindisi, attraversando il mare Adriatico con una barca da pescatore; questo pensiero non fu messo in pratica perchè non si trovò nessun barcaiolo che volesse intraprendere una corsa così temeraria.
Senonchè era necessaria la sua presenza per decidere il fedele suo luogotenente Marco Antonio, il quale teneva il comando in Italia, a fare quest'ultimo tentativo per salvare il suo signore.