4 La città palatina e i sette colli.
Il piano topografico delle primitive costruzioni dalle quali nel corso dei secoli è sorta Roma, secondo testimonianze degne di fede, comprendeva soltanto il Palatino e più tardi anche la «Roma quadrata», chiamata così dalla irregolare forma quadrangolare del colle Palatino. Le porte e le mura contornanti questa primitiva città rimasero visibili fino all'epoca imperiale; l'ubicazione di due porte, la Romanula presso San Giorgio in Velabro e la Mugonia presso l'arco di Tito, ci è nota ancora e la cerchia di mura palatine è descritta da Tacito, come egli stesso la vide, almeno nei lati rivolti all'Aventino e al Celio. Parecchi indizi provano che questo fosse il centro e la sede primitiva della colonia cittadina.
Sul Palatino si trovava il sacro simbolo, il cosiddetto Mundus, nel quale i primi coloni avevano deposto abbondantemente tutto ciò che occorre alla casa ed una zolla della cara terra natia. Qui era l'edificio nel quale si radunavano tutte le curie (curiae veteres), ciascuna al proprio focolare, per il culto divino ed altri scopi. Qui era il santuario (curia saliorum), che era nello stesso tempo il luogo dove si conservava il sacro scudo di Marte, il santuario dei lupi (lupercal) e l'abitazione del sacerdote di Giove. Sopra e vicino a questo colle, venne principalmente localizzata la leggenda della fondazione di Roma, e venivano indicati ai credenti la casa di Romolo coperta di paglia, la capanna del suo padre adottivo Faustolo, il fico ruminale presso il quale era stata spinta la cesta coi gemelli; l'albero di corniolo, ch'era sorto dal legno della lancia che fu il fondatore della città aveva lanciata dall'Aventino oltre la valle del circo in questa cerchia di mura, ed altre simili reliquie. Quest'epoca non conosceva ancora dei veri templi, e quindi nemmeno il Palatino ne conserva delle epoche più antiche. Ma le sedi comunali sono state ben presto trasportate altrove e perciò dimenticate; solo si può supporre che lo spazio aperto, intorno al Mundus, chiamato più tardi piazza di Apollo, il più antico luogo per l'adunanza dei cittadini e del senato, e la tribuna eretta sopra lo stesso Mundus, abbiano potuto essere il più antico centro del comune romano. Si è invece conservato, nella «Festa dei sette monti» (Septimontium), il ricordo della stessa colonia che si è formata man mano intorno al Palatino. L'uno dopo l'altro i sobborghi sorgevano, protetto ciascuno da baluardi particolari, ma più deboli, e appoggiati alla primitiva cerchia di mura del Palatino, come nelle maremme le dighe esterne si appoggiano alla principale.
I sette monti sono: il Palatino stesso, il Germalo, che è il pendio del Palatino verso la bassura (Velabrum) il quale si estendeva verso il fiume fra il Palatino e il Campidoglio; la Velia, dorso di colline che univa il Palatino all'Esquilino e che più tardi scomparve quasi interamente sotto gli edifizi dei Cesari; il Fagutale, l'Oppio e il Cispio, che sono i tre culmini dell'Esquilino; e infine la Sucusa o Subura, fortezza posta al di fuori del baluardo che proteggeva la città nuova sulle Carine, al di sotto di San Pietro in Vincoli, fra l'Esquilino e il Quirinale.
Su queste costruzioni, certamente succedutesi per gradi, si legge chiaramente la più antica storia della Roma palatina fino ad un certo punto, specialmente se si ricollega ad essa la ripartizione distrettuale di Servio, formata sulla base di questa antichissima divisione.
Il monte Palatino fu e rimase in tutti i tempi la parte più ragguardevole del comune romano, la più antica e, primitivamente, unica cerchia di mura, ma la colonia cittadina non ha cominciato, in Roma, come nemmeno altrove, al di dentro della rocca, bensì al di sotto di essa, e le più antiche colonie che noi conosciamo, quelle che più tardi costituiscono i vari quartieri della città serviana, formano tutte un cerchio intorno al Palatino. Così fu della colonia sul pendio del Germalo col «vico Tusco», il cui nome può ben indicare le attive relazioni commerciali fra Ceriti e Romani, e così della colonia sulla Velia, le quali hanno formato nella città serviana un quartiere solo con il colle della rocca. Lo stesso si dica delle parti del secondo quartiere; il sobborgo sul Celio, il quale probabilmente ha occupato solo l'estrema punta sopra il Colosseo; il bisogno de le Carine che è l'altura dalla quale l'Esquilino muove verso il Palatino, e finalmente la valle e il suburbio della Subura, da cui tutto il quartiere prese nome. I due quartieri uniti formano la città primitiva, e il distretto suburbano di essa, che si estendeva al di sotto della rocca, forse dall'arco di Costantino sino a San Pietro in Vincoli, e al di sopra della valle, pare sia stato più ragguardevole e forse più antico che non le colonie incorporate secondo l'ordinamento di Servio Tullio, nel distretto Palatino, poichè quello precede questo nella classificazione dei quartieri. Un curioso episodio dell'antagonismo fra questi due quartieri è stato conservato da uno dei più antichi usi sacri di Roma, il sacrificio del cavallo di ottobre che si compiva ogni anno nel campo Marzio. Fino ad epoche assai posteriori, gli uomini della Subura e quelli della Via Sacra scendevano a contesa, durante questa festa, per la testa del cavallo e secondo vincevano gli uni o gli altri, essa veniva inchiodata o sulla torre Mamilia (di posizione ignota) nella Subura, o sulla Regia sotto il Palatino. Erano le due metà della città antica che qui lottavano fra di loro in legittima gara.
Allora le Esquilie (il qual nome, propriamente usato, esclude le Carine) erano, secondo il significato della parola, le costruzioni esterne (ex-quiliae, come inquilinus, da colere) ossia il suburbio, che nella successiva divisione della città divennero il terzo quartiere, e questo, come pure il Suburano e il Palatino, fu sempre tenuto in minore considerazione. Anche altre vicine alture, come il Campidoglio e l'Aventino, possono essere state occupate dal comune dei sette colli, nonchè il ponte sui pali (pons sublicius), sopra i pilastri naturali dell'isola tiberina, che sarà esistito già allora, come lo prova a sufficienza il collegio pontificale, e non si sarà lasciata senza difesa la testa di ponte sulla riva etrusca e la cima del Gianicolo. Ma il comune non li aveva ancora racchiusi nella sua cerchia di fortificazioni.
La necessità che il ponte potesse da un momento all'altro, per ragioni strategiche, venire distrutto o arso, fece nascere la massima rituale che i ponti fossero volanti e costruiti esclusivamente di legno. Con ciò si spiega come per lungo tempo il comune romano abbia dominato il passaggio del fiume solo in modo incerto e saltuario. Ma non è possibile stabilire una relazione tra queste colonie gradatamente sorgenti e i tre comuni nei quali Roma si divideva legalmente già da tempo immemorabile. Poichè i Ramni, i Tizi e i Luceri sembrano esser stati originariamente comuni indipendenti, essi devono naturalmente aver colonizzato in origine e ciascuno per proprio conto; ma sui sette colli essi certamente non hanno abitato in valli separati e ciò che nei tempi antichi o nei moderni è stato inventato attorno a quell'epoca, verrà relegato dall'intelligente investigatore tra le graziose favole di Tarpeia e del combattimento sul Palatino.
È più facile che i due quartieri della più antica città, la Subura e il Palatino, come pure il quartiere suburbano, siano stati divisi ciascuno in tre parti fra Ramni, Tizi e Luceri; come sembra dall'esistenza delle tre paia di cappelle Argee.
Forse la città palatina dei sette colli ha avuto una storia, ma a noi non ne è rimasta altra testimonianza all'infuori della sola notizia della sua esistenza.
Come le foglie morte della foresta preparano la nuova vita, anche quando cadono non vedute da occhio umano, così pure, questa dimenticata città dei sette colli ha preparato l'humus alla Roma storica.