8. Risultato finanziario.
Esaminando le cose nel complesso si comprende che quanto Roma ritraeva dalle province non era propriamente un'imposta dei sudditi nel senso che ora diamo alla parola, ma piuttosto una riscossione paragonabile ai tributi attici, con la quale lo stato dirigente sosteneva le spese di guerra.
Da ciò si spiega la notevole esiguità delle entrate lorde e nette.
Abbiamo un dato secondo il quale gli incassi dell'erario romano, escluse probabilmente le rendite italiche e quelle del grano spedito in Italia dagli appaltatori delle decime, non superavano sino all'anno 691 = 63 i 200 milioni di sesterzi, quindi soltanto due terzi della somma che il re d'Egitto ritraeva annualmente dal suo stato.
La meraviglia per tale proporzione cessa ove si consideri la cosa più da vicino. I Tolomei sfruttavano la valle bagnata dal Nilo alla maniera di grossi possidenti di piantagioni e ritraevano ingenti somme dal traffico da essi esclusivamente esercitato coll'oriente; l'erario romano costituiva poco più della cassa di guerra della federazione dei comuni uniti sotto la protezione di Roma.
La rendita netta era probabilmente in proporzione ancora minore.
Solo in Sicilia, dove vigeva il sistema d'imposta cartaginese, si aveva un cospicuo avanzo, e soprattutto in Asia, da quando Caio Gracco, allo scopo di rendere possibile la sua distribuzione di cereali, vi aveva introdotta la confisca del suolo e il censimento demaniale generale. Da molteplici testimonianze risulta che le pubbliche finanze romane si fondavano essenzialmente sulle imposte dell'Asia.
È verosimile l'assicurazione che nelle altre province la spesa pareggiasse l'entrata, e che questa fosse superata da quella nelle province dove era necessario un presidio ragguardevole, come nella Spagna, nella Gallia transalpina, nella Macedonia.
In generale l'erario romano poteva fare assegnamento su un sopravanzo, che serviva a sostenere le ingenti spese delle costruzioni pubbliche dello stato e della capitale e a formare un fondo di riserva; senonchè anche le cifre occorrenti per queste spese, in relazione al vasto territorio della signoria romana spiegano la poca importanza della rendita netta delle imposizioni romane.
L'antica, onorevole e saggia massima, di non considerare l'egemonia politica come un diritto profittevole, ha quindi in un certo senso esercitato la sua influenza tanto sull'amministrazione finanziaria delle province quanto su quella romano-italica.
Le somme che il comune romano riscuoteva dai suoi sudditi d'oltremare erano ordinariamente impiegate di nuovo per la difesa militare dei possedimenti d'oltremare; e se i contribuenti erano colpiti più duramente da queste imposte dei Romani che da quelle antecedenti, venendo però il loro prodotto per la maggior parte speso nelle province, ed essendosi sostituiti un unico governo ed un'unica direzione militare centrale a molti signorotti e a piccoli eserciti, ne derivò un rilevante risparmio.
Ma naturalmente tale sistema dei tempi migliori, sin da principio si presenta nell'organizzazione provinciale interamente guasto e travisato dalle molte eccezioni ch'esso ebbe a patire.
La decima fondiaria prelevata dai Romani in Sicilia, sull'esempio di Gerone e dei Cartaginesi, oltrepassava di molto la somma di un'annua contribuzione di guerra. Con ragione Scipione Emiliano dice in Cicerone, che mal si addiceva ai cittadini romani di essere al tempo stesso i dominatori e i gabellieri delle nazioni.
L'appropriazione dei dazi portuali non era conciliabile con la massima della egemonia disinteressata, e la gravezza dei dazi, non meno dei modi vessatori che si adoperavano nel riscuoterli, certo non valevano ad attenuare il sentimento dell'ingiustizia che si era commessa.
Il nome di gabelliere già a quest'epoca suonava probabilmente agli orecchi delle popolazioni orientali non diverso da quello di mariuolo o di ladro.
Nessuna gravezza contribuì come questa dei dazi a rendere, soprattutto agli orientali, il nome romano nemico ed odioso.
Allorchè poi Caio Gracco, e quel partito che a Roma si denominava popolare, pervennero al governo, il dominio politico fu dichiarato apertamente un diritto, pel quale ognuno che ne fosse a parte, poteva pretendere una data quantità di staia di grano.
L'egemonia fu trasformata addirittura in proprietà fondiaria: fu non solo introdotto, ma con vergognosa impudenza legalmente motivato e proclamato il più completo sistema di usufrutto delle pubbliche entrate.
Nè certo a caso furono più duramente colpite appunto le province meno bellicose, cioè la Sicilia e l'Asia.