22. Battaglia presso Sena.
Nerone trovò il suo collega Marco Livio presso Sena Gallica in attesa del nemico. I due consoli avanzarono subito contro Asdrubale, che trovarono intento a passare il Metauro. Asdrubale desiderava evitare la battaglia e togliersi dalla vicinanza dei Romani portandosi da un lato, ma le sue guide lo abbandonarono, egli si smarrì in un terreno che non conosceva e fu finalmente attaccato durante la sua marcia dalla cavalleria romana e trattenuto sino all'arrivo della fanteria: allora la battaglia divenne inevitabile.
Asdrubale dispose gli Spagnuoli sull'ala destra con i suoi dieci elefanti, ed i Galli, sui quali egli non contava, sulla sinistra. Accanito ed indeciso durava il combattimento sull'ala destra, ed il console Livio, che ne aveva il comando, si trovava in gran difficoltà, quando Nerone, ripetendo in campo tattico la strategica sua operazione, lasciò il nemico che gli stava di fronte nell'immobile sua posizione, e girando attorno al proprio esercito attaccò gli Spagnuoli di fianco.
Questo fu il colpo decisivo. La vittoria riportata con molto spargimento di sangue fu completa; l'esercito, cui era tolta ogni ritirata fu distrutto, il campo preso d'assalto.
Asdrubale, vedendo perduta la battaglia che egli aveva così egregiamente diretta, seguendo l'esempio del padre, cercò e trovò sul campo una morte onorata. Come capitano e come uomo egli era degno fratello d'Annibale.
Il giorno dopo la battaglia, Nerone si rimetteva di nuovo in cammino e, dopo una breve assenza di quattordici giorni, ricompariva nell'Apulia di fronte ad Annibale, il quale non aveva avuto alcun sentore dell'accaduto e si era mantenuto fermo nella posizione che occupava.
La notizia gli fu recata dal console stesso col capo mozzo d'Asdrubale, che fu per suo ordine gettato agli avamposti nemici, per compensare così il grande suo avversario – cui ripugnava il pensiero di far guerra ai morti – dell'onorevole sepoltura da lui data alle spoglie di Paolo, di Gracco e di Marcello.
Allora Annibale riconobbe che tutte le sue speranze erano vane e che tutto era finito.
Rinunziò all'Apulia, alla Lucania e persino a Metaponto, e si ritirò colle sue truppe nel Bruzio, i cui porti di mare, gli offrivano la sola via di ritirata.
L'energia dei generali romani e più ancora una felice combinazione, di cui non vi è forse altro esempio nella storia, avevano salvato Roma da un pericolo la cui gravità spiega la tenace perseveranza d'Annibale nel rimanere in Italia, un pericolo che può sostenere benissimo il paragone di quello che seguì la battaglia di Canne.
Il giubilo di Roma fu senza limiti; gli affari ricominciavano a prender vita come in tempo di pace; tutti sentivano che il pericolo della guerra era superato.