13. Dibattiti sul richiamo di Cesare.
Si procedeva dunque passo passo per la lentissima via costituzionale. Secondo l'osservanza antica, spettava al senato l'obbligo di deliberare sul conferimento delle luogotenenze dell'anno 705 = 49, al principio del 703 = 51 per quella da assegnarsi agli ex consoli e al principio del 704 per quelle da assegnarsi agli ex pretori, e il primo dibattimento fornì la prima occasione di discutere in senato sulla nomina di nuovi luogotenenti per le due Gallie, e di mettere in aperta collisione il partito della costituzione spinto innanzi da Pompeo e i difensori di Cesare.
Il console Marco Marcello fece la proposta di assegnare ai due consoli da dotarsi di luogotenenze per quell'anno, dal primo marzo 705 = 49 in avanti, quelle fino allora amministrate dal proconsole Caio Cesare. L'irritazione da lungo tempo repressa iruppe allora come un torrente dall'aperta diga.
In questo dibattimento gli aderenti di Catone si sfogarono dicendo contro Cesare tutto quello che pensavano. Essi sostennero che il diritto accordato con una legge eccezionale al proconsole Cesare di concorrere assente alla carica consolare, abrogato con posteriore plebiscito, non fosse ritenuto valido nemmeno in questo. Il senato doveva, secondo il loro parere, costringere quel pubblico ufficiale a congedare i soldati che avevano ultimata la loro ferma, essendo ormai compiuta la sottomissione della Gallia. Le concessioni di cittadinanza fatte da Cesare nell'alta Italia e le istituzioni di colonie furono da esse dichiarate contrarie alla costituzione e nulle; ed a maggiore evidenza Marcello inflisse la pena della fustigazione, permessa soltanto contro i non cittadini, ad un ragguardevole giudice della colonia cesariana di Como, il quale, quand'anche non spettasse a quella città il diritto di cittadinanza, ma soltanto il diritto latino, era autorizzato a reclamare il diritto di cittadino romano.
Coloro che a quel tempo parteggiavano per Cesare – tra i quali il più valente, Caio Vibio Pansa, figlio di un esiliato di Silla, ma ciò nondimeno spintosi innanzi nella carriera politica, prima ufficiale nell'esercito di Cesare ed in quest'anno tribuno del popolo – sostenevano in senato che tanto lo stato delle cose nelle Gallie quanto l'equità esigevano non solo di non richiamare Cesare prima del tempo, ma di lasciargli anzi il comando ed insieme il consolato; essi si riferivano senza dubbio alla circostanza che pochi anni prima Pompeo aveva cumulato appunto così le luogotenenze spagnuole col consolato e anche presentemente cumulava nella sua persona, oltre l'importante carica d'ispettore generale delle vettovaglie della capitale, il supremo comando in Italia con quello della Spagna, e che tutti gli uomini atti alle armi avevano prestato il giuramento nelle sue mani e non ne erano ancora stati sciolti.
Il processo cominciò a formularsi ma non per questo procedette più rapidamente. La maggioranza del senato, accorgendosi che la rottura si andava avvicinando, lasciò passare molti mesi senza prendere alcuna deliberazione ed altrettanti mesi si perdettero per il solenne tentennare di Pompeo. Finalmente questi ruppe il silenzio ed abbracciando il partito della costituzione si dichiarò, veramente sempre con ritenutezza e titubanza ma con sufficiente chiarezza, contro l'ancora suo alleato.
Egli respinse con brevi ed aspre parole le richieste degli amici di Cesare di concedergli il cumulo del consolato e del proconsolato; a questo soggiunse con goffa rozzezza che una simile domanda gli sembrava come se il figlio esibisse le bastonate del padre. In massima egli accettava la proposta di Marcello, in quanto egli pure dichiarava di non voler permettere che Cesare fosse investito immediatamente del consolato e del proconsolato. Però lasciava comprendere, senza dichiararlo esplicitamente, che nel caso estremo si concederebbe forse a Cesare l'ammissione alle elezioni pel 706 = 48 senza esigere la personale sua presenza, e così la continuazione della luogotenenza sino al 13 novembre 705 = 49.
Ma l'incorreggibile temporeggiatore acconsentì intanto alla procrastinazione della nomina dei successori sin dopo il febbraio del 704 = 50, il che fu probabilmente chiesto dai sostenitori di Cesare in base ad una clausola della legge pompeo-licinia, che vietava ogni dibattimento del senato sulla nomina dei successori prima del principio dell'ultimo anno della luogotenenza di Cesare. Perciò le determinazioni del senato risultarono in questo senso (29 settembre 703 = 51).
Il conferimento delle luogotenenze delle Gallie fu dunque portato all'ordine del giorno del 1° Marzo 704 = 50, ma già fin d'allora fu deciso lo scioglimento dell'esercito di Cesare, appunto come si era già praticato con un plebiscito per l'esercito di Lucullo, in modo cioè che i veterani fossero indotti a rivolgersi al senato per ottenere il loro congedo.
Gli amici di Cesare ottennero col loro veto tribunizio, per quanto lo potevano costituzionalmente, la cassazione di queste deliberazioni; ma Pompeo dichiarò apertamente che gli impiegati erano obbligati ad ubbidire ciecamente al senato, e che sotto questo rapporto le intercessioni e simili antiquate formalità non avrebbero avuto alcuna influenza.
Il partito oligarchico, di cui ora Pompeo era divenuto il propugnatore, non nascondeva l'intenzione di procedere, dopo una eventuale vittoria, alla revisione della costituzione eliminandone tuttociò che aveva l'apparenza di approssimarsi alla libertà popolare, e fu senza dubbio per questo motivo che tralasciò di servirsi in alcun modo dei comizi negli attacchi da esso diretti contro Cesare.
La coalizione tra Pompeo e il partito della costituzione era quindi formalmente proclamata e già pronunziata anche la sentenza contro Cesare; solo il termine della comunicazione era ancora tenuto sospeso. Le elezioni pel seguente anno riuscirono tutte a lui avverse.