18. Distruzione dell'armata illirica di Cesare.
Noi non sapremmo dire con sicurezza se, ed in qual modo, gli avvenimenti bellici dell'anno 705 = 49 si collegassero col piano generale di Pompeo e particolarmente quale parte fosse assegnata nello stesso anno, dopo la perdita dell'Italia, ai ragguardevoli corpi d'armata in occidente.
Che Pompeo avesse avuto l'intenzione di venire in aiuto al suo esercito guerreggiante in Spagna per la via di terra, passando per l'Africa e per la Mauritania, era una storiella che circolava nel campo di Lerida e che certo era senza ombra di fondamento. È più verosimile che egli si attenesse al suo piano primitivo, quello di attaccare Cesare da due parti, nella Gallia cisalpina e in quella transalpina, anche dopo perduta l'Italia, e che meditasse un attacco combinato al tempo stesso dalla Spagna e dalla Macedonia.
L'esercito spagnolo doveva probabilmente mantenersi sulla difesa nei Pirenei sino a che quello che si stava organizzando fosse pronto a marciare; allora si sarebbero mossi entrambi contemporaneamente e, secondo le circostanze, si sarebbero incontrati o sul Rodano o sul Po; la flotta avrebbe probabilmente tentato allo stesso tempo la riconquista dell'Italia propriamente detta. Ciò premesso, Cesare si attendeva, come pare, di essere prima attaccato in Italia.
Uno dei suoi più valenti ufficiali, il tribuno del popolo, Marco Antonio, comandava qui con poteri da propretore. I porti del nord-est, Sipo, Brindisi, Taranto, dove si doveva anzitutto attendersi un tentativo di sbarco, avevano ricevuto un presidio di tre legioni. Oltre a ciò, Quinto Ortensio, figlio degenere del famoso oratore di tal nome, stava raccogliendo un naviglio nel mar Tirreno, e un secondo ne stava formando Publio Dolabella nell'Adriatico, navigli che dovevano in parte appoggiare la difesa e in parte servire per l'imminente passaggio nella Grecia.
Nel caso che Pompeo tentasse di penetrare in Italia per la via di terra, toccava a Marco Licinio Crasso, figlio maggiore dell'antico collega di Cesare, la difesa della Gallia cisalpina, e a Marco Antonio, fratello minore di Caio, quello dell'Illiria. Il supposto attacco si fece però lungamente attendere. Soltanto nell'estate avanzata si venne alle mani nell'Illiria. Qui il luogotenente di Cesare, Caio Antonio, si teneva colle sue legioni nell'isola Curicta (Veglia, nel Quarnaro); l'ammiraglio di Cesare, Publio Dolabella, si trovava con quaranta navi nell'angusto braccio di mare fra quest'isola e la terraferma.
Gli ammiragli di Pompeo nel mare Adriatico, Marco Ottavio colla squadra greca, Lucio Scribonio Libone coll'illirica, attaccarono il naviglio di Dolabella distruggendo tutte le navi di cui si componeva, e confinarono Caio Antonio nella sua isola. Per liberarlo venne dall'Italia un corpo di truppa capitanato da Basilio e da Sallustio e dal Tirreno venne pure la squadra di Ortensio; ma nè l'uno nè l'altra poterono fare qualche cosa contro la flotta nemica assai più forte.
Le legioni di Caio Antonio dovettero essere abbandonate alla loro sorte. Le provvigioni toccavano la fine, le truppe si ammutinavano; ad eccezione di poche divisioni, alle quali riuscì di guadagnare la terraferma sopra zattere, tutto il corpo d'armata, che contava ancora quindici coorti, abbassò le armi e fu trasportato nella Macedonia sulle navi di Livone per essere incorporato nell'esercito di Pompeo; Ottavio era rimasto indietro per compiere il soggiogamento delle coste illiriche rimaste allora senza presidio.
I Dalmati, i quali conservavano avversione per Cesare sin dal tempo della sua luogotenenza, l'importante città di Issa (Lissa) e altri paesi presero partito per Pompeo; ma i partigiani di Cesare si mantennero in Salona (Spalato) ed in Lisso (Alessio), e nella prima città non solo sostennero coraggiosamente l'assedio, ma, ridotti agli estremi, fecero anche una sortita con tale successo, che Ottavio levò l'assedio e si recò a Durazzo per passarvi l'inverno.
Questo successo ottenuto nell'Illiria dal naviglio di Pompeo, sebbene in sè di poca importanza, non ebbe una grande influenza sull'andamento generale della guerra, e appare minimo se si considera che le operazioni delle forze di terra e di mare sotto il supremo comando di Pompeo durante lo scabroso inverno 705 = 49 si ridussero a questo solo fatto d'armi, e che dallo oriente, dove si trovavano raccolti il generale in capo, il senato, il secondo esercito, la flotta principale, immense risorse militari e mezzi finanziari ancora maggiori, gli avversari di Cesare non volsero un pensiero alla lotta che si combatteva in occidente, quando vi era così urgente bisogno, poichè tutto dipendeva da essa.
La dissoluzione delle forze militari sparse nella metà orientale dello stato, la massima del supremo duce di non operare che con masse superiori a quelle del nemico, la sua lentezza e lungaggine, e lo sfasciamento della coalizione, non giustificheranno forse l'inazione delle forze di terra, ma se non altro in qualche modo la spiegheranno. Ma che la flotta, la quale dominava senza opposizione nel mare Mediterraneo, non facesse assolutamente nulla per dar segno di vita, nulla per la Spagna, poco più di nulla per i fedeli Massalioti, nulla per la difesa della Sardegna, della Sicilia, dell'Africa, e quanto all'Italia nulla, se non per rioccuparla almeno per cercare il modo di tagliarle le provvigioni, tuttociò ci imporrebbe il dovere di chiarire le nostre idee sulla confusione che regnava nel campo di Pompeo, ma noi non lo possiamo fare senza grave difficoltà.
Il risultato complessivo di questa campagna fu soddisfacente. La doppia offensiva presa da Cesare verso la Spagna e verso la Sicilia e l'Africa era riuscita completamente nella prima, almeno in parte in quest'ultima; per contro, il piano di Pompeo di affamare l'Italia, fu, colla occupazione della Sicilia, reso vano nella cosa principale; colla distruzione dello esercito spagnuolo fu completamente sventato il suo complessivo piano di campagna, mentre in Italia non si era messa in pratica che una piccolissima parte delle disposizioni difensive ordinate da Cesare. Malgrado le sensibili perdite in Africa e nell'Illiria, Cesare in questo primo anno di guerra uscì vincitore nel modo più assoluto e decisivo.