24.Storia dell'origine di Roma.
Nel periodo delle leggende, e specialmente in quella parte che si riferisce alla storia delle origini di Roma, esposta da tutti gli scrittori molto circostanziatamente, s'incontrava la speciale difficoltà che già abbiamo notata di due versioni assolutamente inconciliabili: la nazionale, la quale, per lo meno nei suoi principali lineamenti, era forse già stata registrata negli annali civili, e la versione greca di Timeo, che non può essere rimasta sconosciuta ai cronisti romani.
La prima versione univa Roma con Alba, la seconda Roma con Troia. Stando alla prima, la città fu edificata da Romolo, figlio del re d'Alba; stando alla seconda, da Enea, principe troiano.
A quest'epoca, e, come sembra, a Nevio od a Pittore, è dovuta la fusione delle due leggende.
Il principe albano Romolo rimane il fondatore di Roma, ma diviene al tempo stesso abiatico di Enea; Enea non fonda Roma, ma in cambio egli adduce i penati troiani in Italia e costruisce Lavinium per loro sede, mentre suo figlio Ascanio fonda Alba Longa, la città madre di Roma e l'antica metropoli del Lazio. Tutto ciò fu inventato male e con poca abilità.
Che i penati originari di Roma non fossero, come fino allora s'era creduto, conservati entro il loro tempio nel foro romano, ma nel tempio di Lavinium, doveva parere un abominio per i Romani; e l'invenzione greca, secondo la quale gli dei accordarono soltanto al nipote ciò che avevano promesso al nonno, era un espediente ancora peggiore.
Nondimeno questo amalgama delle due favole raggiunse il suo scopo; senza negare addirittura l'origine nazionale di Roma essa assecondò la tendenza ellenica, e giustificò in qualche modo l'aspirazione di essere discendenti d'Enea, che già da qualche tempo era di moda, e così fu data forma alla storia convenzionale, e ben presto ufficiale, dell'origine del possente comune.
Se si eccettua la leggenda sull'origine della città, gli storiografi greci poco o nulla si curarono dello stato romano; bisogna così pensare che la successiva versione della storia nazionale deve, su per giù, essere venuta da fonti indigene, senza che ora si possa discernere con certezza, seguendo le scarse notizie pervenuteci, quali tradizioni, oltre gli annali, abbiano servito ai più antichi cronisti, e quello che essi vi abbiano aggiunto di proprio.
Gli aneddoti di Erodoto[36], che vi furono inseriti, devono essere stati ancora ignorati da questi antichi annalisti, e non si saprebbe provare che, in questa parte, si sia fatto un vero plagio inserendo di prima mano materia tratta dai libri greci. Tanto più notevole è la tendenza, che si riscontra sempre più manifesta in tutti gli scrittori romani e persino in Catone, l'avversario dei Greci, non solo di unire Roma con l'Ellade, ma di considerare gl'Italici ed i Greci come una nazione originariamente identica, alla quale appartengono gl'Italici primitivi ossia gli aborigeni emigrati dalla Grecia ed i Greci primitivi o Pelasgi emigrati in Italia.