23. Cesare nella Gallia.
In queste condizioni arrivò il luogotenente Caio Cesare nella primavera del 696 = 58 nella Gallia narbonense, che era stata aggiunta con un decreto del senato alla luogotenenza originaria, comprendente la Gallia cisalpina, l'Istria e la Dalmazia.
La sua carica, assegnatagli prima per cinque anni (sino alla fine del 700 = 54), poi nel 699 = 55 prolungata per altri cinque anni (sino alla fine del 705 = 49), gli dava il diritto di nominare dieci comandanti inferiori col grado propretoriale, e – almeno secondo la sua interpretazione – di completare a suo talento le sue legioni, e di crearne delle nuove prendendo gli uomini dalla numerosa popolazione cittadina della Gallia cisalpina da lui dipendente.
L'esercito assegnatogli nelle due province consisteva in quattro disciplinate e agguerrite legioni di fanteria di linea, la settima, l'ottava, la nona e la decima, ossia tutt'al più 24.000 uomini, a cui, come si usava, si aggiungevano i contingenti dei vassalli. La cavalleria e la truppa armata alla leggera erano rimpiazzate da cavalieri spagnuoli e da tiratori e frombolieri numidi, cretensi e balearici.
Lo stato maggiore di Cesare, il fiore della democrazia della capitale, comprendeva insieme a non pochi inetti giovani di famiglie distinte, alcuni ufficiali capaci, come Publio Crasso, il figlio più giovane del vecchio alleato politico di Cesare, e Tito Labieno, che dal foro aveva seguìto sul campo di battaglia come aiutante fedele il capo della democrazia.
Cesare non aveva ricevuto ordini precisi; per l'uomo coraggioso e perspicace gli ordini dipendono dalle circostanze. Anche qui bisognava rimediare all'inerzia del senato ed anzitutto porre un freno al torrente dell'invasione germanica.