27. Cesare e Ariovisto.
Sull'alto Reno si era così provveduto contro la minacciante invasione dei Germani e al tempo stesso era stata rintuzzata l'arroganza del partito celtico avverso ai Romani.
Una dimostrazione simile era necessaria nel medio Reno, dove i Germani si erano fissati già da parecchi anni e dove il potere di Ariovisto, che gareggiava nella Gallia con quello di Roma, andava sempre più aumentando e non era difficile trovare un pretesto per venire ad una rottura.
Di fronte al giogo loro minacciato o già imposto da Ariovisto, la supremazia romana doveva sembrare alla maggior parte dei Celti il male minore; la minoranza, che si manteneva tenace nel suo odio contro i Romani, doveva almeno ammutolire. Una dieta delle tribù celtiche della Gallia media, tenuta sotto l'influenza dei Romani, chiese a nome della nazione celtica l'aiuto del duce romano contro i Germani.
Cesare vi acconsentì. Dietro sua insinuazione gli Edui sospesero il pagamento del pattuito tributo ad Ariovisto e chiesero la restituzione degli ostaggi, e siccome Ariovisto attaccò i clienti di Roma, Cesare colse l'occasione per entrare con lui direttamente in trattative e per imporgli oltre la restituzione degli ostaggi e la promessa di mantenere la pace con gli Edui, anche l'obbligo di non trarre più nessun Germano d'oltre il Reno.
Il duce tedesco rispose al duce romano da pari a pari: che a lui obbediva la Gallia settentrionale per diritto di guerra, appunto come la meridionale obbediva ai Romani; che come egli non frapponeva ostacoli alla riscossione del tributo imposto dai Romani agli Allobrogi, essi dovevano fare altrettanto circa l'imposizione ch'egli facesse dei tributi ai suoi sudditi.
Dalle ulteriori comunicazioni riservate si conobbe che questo principe conosceva benissimo le condizioni in cui erano i Romani: egli accennò ad inviti pervenutigli da Roma di sopprimere Cesare, ma si dichiarò pronto ad aiutarlo nell'impresa di ottenere la signoria sull'Italia quand'egli in cambio volesse lasciargli la Gallia settentrionale; che, come i dissensi fra i Celti gli avevano aperto l'accesso nella Gallia, così egli se ne attendeva lo stabile possesso dai dissensi Italici.
Da secoli i Romani non avevano inteso un linguaggio simile da potenza che si considera uguale e che fa mostra della sua indipendenza in modo aspro e senza alcun riguardo, come ora da questo re guerriero; e quando il duce romano, conforme l'uso praticatosi con i principi clienti, lo invitò a presentarglisi in persona, egli vi si rifiutò.